il commento di Riccardo Paccosi
Sotto la superficie del conflitto ideologico, l’attacco agli insegnanti e al pubblico impiego.
La maestra di sinistra che rischia il licenziamento per aver paragonato Salvini a Hitler. Il professore liceale di estrema destra che inneggia ai campi di concentramento e di cui si chiede il licenziamento. L’insegnante licenziata per aver gridato “merde” ai poliziotti durante una manifestazione.
Possiamo dilungarci a discutere fino allo sfinimento su ciascun singolo caso e può darsi che anch’io – per esempio rispetto al secondo caso sopra menzionato – possa talora trovarmi d’accordo sulla licenziabilità.
Ma così facendo, si attua la politica dello struzzo dinanzi a un quadro generale che è tanto nitido quanto ammantato di luce sinistra.
Infatti, mentre stiamo qui a trastullarci in discussioni volte a stabilire se siano più degni di licenziamento gli insegnanti fascisti oppure quelli antifascisti, il dato strutturale, il dato di economia politica, il dato inerente ai fondamenti del diritto del lavoro, consta del fatto che è oggi in atto un’aggressione senza precedenti al cosiddetto posto fisso, ambito di cui gli insegnanti hanno rappresentato, per decenni, una fra le categorie più garantite e protette.
Io non ho mai avuto un posto fisso (l’autore è un attore, ndE), non ho mai una sola volta nella vita goduto dell’articolo 18 e tantomeno delle ferie pagate. Ma quello che gli altri lavoratori precari e/o lavoratori autonomi, a differenza di me e pochi altri, proprio non riescono a capire, è che esiste una precisa concatenazione causale, un preciso nesso storico e strategico, fra l’attacco ai garantiti e la nostra cronica e di massa condizione di non garantiti.
Comunque, se non avete voglia di parlare del quadro generale d’attacco al pubblico impiego perché troppo presi a baloccarvi con fascismo e antifascismo, fate pure.
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