Ieri in poche ore abbiamo assistito a uno spettacolo a dir poco sconcertante prima con Giorgetti e la sua idea di un semipresidenzialismo di fatto, seguito poi da Cacciari con la sua proposta di tenere Draghi presidente del Consiglio e parallelamente Presidente della Repubblica, “perché tanto è così che va da trent’anni”.
E pensare che proprio il nostro filosofo nazionale qualche mese fa aveva strepitato contro la crisi democratica del nostro paese servendosi, in un momento di insolita lucidità, di argomentazioni in buona parte condivisibili. Ma niente, è più forte di lui, la calamita del conformismo è irresistibile. Ed ecco dunque Cacciari con aria fintamente provocatoria al fianco di un Giorgetti qualsiasi impegnato a vomitare idiozie anticostituzionali perché occorre assecondare lo spirito dei tempi.
Giorgetti e Cacciari sono in fondo due facce della stessa medaglia:
sono l’espressione politica e culturale del divorzio tra le élite che si richiamano al liberalismo e la democrazia italiana. Rappresentano i ceti produttivi del nord, traducono le loro istanze, il loro progetto politico. Seppure in modo diverso partecipano a quella lotta di classe dall’alto che il capitale ha vinto contro il lavoro. Sono in altre parole espressione della medesima egemonia.
Nessuna democrazia è puramente l’espressione della volontà popolare.
La sovranità è sempre condizionata dai rapporti di forza tra classi e tra interessi in conflitto. Appellarsi dunque al mero dato formale del voto e della divisione dei poteri rischia di occultare la complessa dinamica politica in atto. E tuttavia non si può fare a meno di osservare che la crisi democratica non è più solo l’effetto di uno squilibrio di forza del capitale contro il lavoro. È anche una crisi formale. Lo è da anni, sia chiaro. I tanti abusi del voto di fiducia e della decretazione insieme allo sbriciolamento dei partiti hanno indebolito il nostro sistema politico. Negli ultimi anni stiamo però assistendo a un salto di qualità.
Un salto all’indietro.
La democrazia con i suoi riti, le sue procedure, la sua prassi è sconvolta, non funziona più. Emerge allora il richiamo all’uomo forte, al risolutore, il tecnico al di sopra della politica, di destra e sinistra, apparentemente postideologico. Un gigantesco apparato mediatico da mesi ci raccolta la favola di Mario Draghi sceso sulla terra per redimere il paese dai suoi vizi, dalle sue storture. Tutto questo accade con la complicità dei ceti intellettuali, silenti e in altre faccende affaccendati.