L’oppio dell’individuo postmoderno
di Paolo Desogus*
Passa il tempo, cambiano le tecnologie, evolvono i processi di comunicazione, ma la strategia del capitale è sempre la stessa, cioè quella di imporre una visione disarticolata e parziale della realtà, in cui le regole del mercato sono un qualcosa di naturale e dunque di ineluttabile.
Lo abbiamo visto in un fatto di per sé banale, ma molto indicativo, ovvero nella discussione intorno al cachet di Roberto Benigni, 300mila euro per mezz’ora di show pseudo culturale. L’argomentazione di chi non vede nulla di strano in questo compenso è che esso è stato interamente coperto dalle entrate pubblicitarie. Grazie agli ascolti e agli sponsor la Rai avrebbe addirittura guadagnato tre volte tanto Benigni.
Ora, si potrebbe obiettare che la Tim,
principale finanziatore dello show, da qualche parte deve aver pur tirato su tutti quei soldi da spendere in pubblicità. Sono però pochi quelli che hanno piena coscienza del fatto che per ogni secondo di spot in tv ci sono migliaia di lavoratori che producono molto più valore di quanto ne godano con lo stipendio e con i benefici del bilancio pubblico. Ecco che allora lo show di Benigni, che di culturale ha solo la patina, finisce per essere l’espressione della falsa coscienza del capitale che sfrutta e mentre sfrutta cancella le tracce dello sfruttamento per mezzo di un vecchio e usurato rottame della tv.
Bisogna infatti considerare che sul denaro privato vige una sorta di tabù:
è vietata qualsiasi discussione che lo metta in relazione al lavoro. Il capitale privato, in quanto privato, deve poter fare quello che vuole. E soprattutto deve poter mascherare la sua totale autonomia dal mondo della produzione.
La falsa coscienza di Benigni e della Rai è dunque doppia, dato che con la parvenza dello spettacolo culturale hanno operato una sorta di riciclaggio del denaro di Tim, trasformandolo da opera del lavoro in opera per la cultura o comunque per qualcosa che si spaccia per tale. Ci troviamo di fronte a simili operazioni ogni volta che un grande imprenditore finanzia una mostra, apre un museo, sponsorizza un restauro: sono tutte strategie per costruire l’ideologia della bontà del capitale privato, su cui non è lecito fare domande.
Ma non finisce qui, perché al danno si aggiunge la beffa.
Lo spettacolo di Benigni va esaminato anche per il valore simbolico che trasmette e per il concetto di cultura che lo sostanzia. Da molto tempo infatti il termine cultura è diventato sinonimo di
intrattenimento supportato da qualche autore o opera di prestigio appartenente al passato.
Da luogo di costruzione del pensiero critico, di elaborazione della coscienza, di edificazione della civiltà e di interrogazione sull’umano, la cultura è diventata un passatempo per decorare la vita quotidiana, è diventata una sorta di oppio dell’individuo postmoderno la cui rappresentazione del mondo si manifesta in forma del tutto disconnessa dal dal lavoro, dai rapporti di produzione, insomma dalla vituperata formula marxista della struttura.