Lo stesso Renzi ha dovuto trovare un escamotage discutibile per giustificare l’assenza dell’espressione di preferenza dei cittadini per quei consiglieri regionali che sarebbero dovuti andare part-time in Senato. Il premier ha mostrato al pubblico una scheda elettorale, scritta di suo pugno, ma non corrispondente a quella che sarebbe passata tra le mani degli elettori.
Tuttavia non è questo modo di far politica all’acqua di rose a non farci tornare i conti, ormai ne siamo abituati, ma semmai la consapevolezza e volontà di un Governo di andare contro una sconfitta più che certa.
Due articoli usciti ieri sul portale Bloomberg potrebbero aiutarci a rispondere. Bloomberg, agenzia di stampa più seguita dal mondo finanziario, ha portato avanti fino al 4 dicembre una più o meno esplicita campagna a favore del SI. Un articolo del 30 settembre scorso recitava “Il destino dell’economia italiana a rischio se il Referendum di Renzi fallirà“, con prospettive di scenari catastrofici se fosse arrivata la vittoria del NO.
Oggi invece Bloomberg cambia bandiera. Nell’editoriale di Therese Raphael vengono prese le distanze dall’operato del Governo Renzi. “Egli mise in atto cambiamenti al sistema elettorale e rese più facile ai datori di lavoro il licenziamento dei lavoratori attraverso la sua battaglia del Jobs Act… la sua Riforma costituzionale era redatta malamente confusa in molte parti. C’era una garanzia per l’immunità parlamentare dei senatori…c’era anche preoccupazione che la sua Riforma elettorale potesse dare più poteri al Governo“. Così Bloomberg abbandona Renzi nel momento della sconfitta. Anche i mercati, che Bloomberg usò come arma di persuasione per far votare SI, hanno chiuso ieri a -0,21%, dunque nessun crollo.
Sembra quindi che l’establishment finanziario abbia supportato Renzi fino al 4 dicembre per poi abbandonarlo.
Se però consideriamo che la sconfitta del Referendum fosse un fatto piuttosto prevedibile, allora dobbiamo ritenere che Bloomberg e il mondo finanziario in generale, conoscessero anche loro quale poteva essere stato l’esito delle votazioni.
Cerchiamo ora di ipotizzare il perché Renzi sia stato spinto dall’establishment finanziario a indire un Referendum per perderlo. Nell’aprile 2014, poco dopo l’insediamento di Renzi a capo del Governo, l’Eurobarometro Standard, il sondaggio più importante condotto a livello europeo, registrava un indice di disaffezione nei confronti dell’Ue da parte degli italiani del 55%. La maggioranza.
Una disaffezione derivata probabilmente dalla frustrazione di una crisi economica infinita e dalla presa di coscienza nel vedere l’ennesimo Governo nominato e non passato al vaglio delle elezioni. Un dato che potrebbe aver allarmato i piani alti di Bruxelles, sommato al crescente avanzare del Movimento 5 Stelle, che due anni più tardi avrebbe conquistato i Comuni di Roma e Torino.
Cosa fare dunque per ridare passione al popolo italiano? Farli tornare partecipi della vita politica con un Referendum su una riforma “pasticciata” dall’esito già scritto.
L’affluenza “record” del 69% degli aventi diritto del 4 dicembre (dieci punti percentuali in più rispetto alle scorse europee), sembrerebbe confermare l’entusiasmo italiano nel partecipare alle votazioni. Si aggiunga a questo che a fine novembre venne fatto un altro sondaggio per calcolare il sentimento degli italiani verso l’Europa. Questa volta fu la Community Media Research ad indirlo.
Il risultato? 7 italiani su 10 vogliono mantenere l’euro e rimanere all’interno dell’Ue. Dal 55% di delusi verso l’Ue del 2014, siamo passati in due anni ad un 65% di entusiasti dello status quo.
Un cambio di opinione molto strano che temporalmente coincide con l’avvicinarsi del Referendum. A fronte di ciò possiamo, dunque, perlomeno sospettare che il Referendum sia stato usato come strumento di riavvicinamento degli italiani alla politica e come conseguente canalizzazione dei loro sentimenti verso la parte più moderata? Forse.
È indubbio, comunque, che il mondo finanziario abbia abbandonato Renzi il giorno della sconfitta e questo è più che sospetto.