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Una breve cornice sulla sinistra

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Un mondo in fermento con la partecipazione straordinaria del…grillo parlante.

Che Beppe Grillo sia entrato nella politica italiana con la leggerezza di un pachiderma in un negozio di cristallerie è ormai noto a tutti. Le sue esternazioni improvvisate in modo apparentemente trasversale contro tutti i partiti tradizionali che lui chiama “ectoplasmi” del passato, hanno in qualche modo provocato un terremoto politico paragonabile agli effetti fisici di un sasso lanciato nelle acque immobili di uno stagno. Il suo movimento nato spontaneamente dalla rete e che sta raccogliendo adesioni da parte di strati della popolazione sempre più importanti e sempre meno timidi, sta dimostrando al di là di tutto una cosa importante: la politica tradizionale con i suoi schemi ormai logori di una democrazia indiretta e subalterna alla direzione dei partiti, sta segnando inesorabilmente il passo. Grillo, al di là delle simpatie o delle antipatie per il suo stravagante modo di esporsi e di proporsi, ha saputo mettere a nudo la pochezza e lo straziante conformismo dei “sepolcri imbiancati” del mondo della politica in generale.

 E’ poi evidente a tutti che il messaggio del Beppe attore, dal suo punto di vista, sia un messaggio cifrato diretto soprattutto a quella sinistra da cui lui sicuramente discende per simpatie e formazione personale. Che poi questo terremoto abbia finito col far tremare anche il mondo del centro destra è un dato di fatto che dimostra come certe azioni rivoluzionarie finiscano, in un perfetto processo di causa effetto, con il rimescolare le carte dell’intero tavolo da gioco o, se preferite, con il far cadere uno ad uno i pezzi collegati del domino in un’immane reazione a catena.

 Si sa: le accuse, indipendentemente dalla loro corrispondenza alla realtà, finiscono per coinvolgere l’animo di chi le subisce, ripetiamo a torto o a ragione, e con il tempo possono provocare autentici terremoti psicologici interni inducendo a modificare anche radicalmente la propria condotta comportamentale. Nessuno resta impassibile di fronte ad affermazioni dirette poco benevole soprattutto quando queste sono esternate in pubblico. Ed è proprio ciò che sta accadendo nel mondo variegato della sinistra. Grillo, diciamolo, è servito, non sappiamo quanto in modo consapevole, da detonatore di un’esplosione politica nel Partito Democratico, a scoppio ritardato e dagli effetti prolungati nel tempo. Un’esplosione che ha finito con il fare uscire dal letargo forze che probabilmente, senza le provocazioni di Grillo, non avrebbero mai trovato il coraggio di venire allo scoperto.

 Ci riferiamo alla sfida, prima politica poi personale, tra Renzi a Bersani. Il primo portatore non solo di idee alternative e innovative rispetto al secondo ma soprattutto di un modo di proporre la propria immagine assolutamente rivoluzionario: facendo le dovute proporzioni è un po’ come se un Kennedy si proponesse in alternativa ad un Bakunin. Forse siamo dunque arrivati, per quanto riguarda il pianeta del Partito Democratico, alla resa finale dei conti tra l’anima nuova, progressista e moderata, e quella viceversa ancora legata alle ultime propaggini ideologiche di un socialismo vecchio stampo, duro a morire e sempre assai pronto a riciclarsi sotto le mentite spoglie della social democrazia.

 Tutto questo lo dobbiamo, a nostro parere, al buon Beppe Grillo parlante che, con il suo arruffato e spesso demagogico sbraitare, una cosa l’ha saputa fare e molto bene: quella di smascherare una volta per tutte i limiti storici e ideologici di una sinistra vetero catto-comunista, totalmente ancorata ai suoi privilegi derivanti da una presupposta e non ben precisata pretesa rappresentativa del mondo dei lavoratori. Una sinistra incapace di adeguarsi ai tempi nuovi ma sempre ben in grado di trasformarsi in modo camaleontico per continuare a sedersi nei seggi che contano, tutelando solo a parole gli interessi di quegli stessi lavoratori che faticano ad arrivare a fine mese e che dal Partito Democratico sono fagocitati in una sorta di obbligatoria adozione a distanza. Un’adozione che non è più storicamente scontata come ai tempi della vecchia falce e martello ma che ora andrebbe ottenuta e sudata sul campo in base ai contenuti di una politica non più parlata e promessa come ai tempi della prima repubblica, ma finalmente operativa e in grado di rispondere da subito agli interessi reali del paese. Tutto questo Renzi, l’attuale sindaco di Firenze, l’ha capito e ha trovato il momento, secondo noi, più adatto per dare una definitiva spallata al vetero sistema ancorato agli schemi rigidi e manichei del PCI.

 L’altra sera su “La Sette”, alla domanda capziosa e piena di insidie della Gruber sulla possibilità di un’alleanza tra lui e Vendola, lo stesso Renzi ha risposto in modo accorto ma assai furbo che le alleanze d’ora in poi si faranno non in base alle direttive dei segretari di partito ma solo in base ai concreti programmi di governo. E con questo ci sembra che lo stesso Renzi, senza dirlo, abbia risposto alla provocatoria domanda: non ci saranno alleanze con Vendola perché quest’ultimo, a meno di un tardivo pellegrinaggio a Canossa, se ne è tirato fuori, a causa di un programma che non coincide con quello dell’attuale sindaco di Firenze.

 Un appunto comunque andrebbe fatto a chi, a nostro giudizio, ha buone possibilità di vincere il confronto delle primarie: il richiamo amorevole lanciato agli elettori delusi del centro destra ci pare non appropriato soprattutto dal punto di vista politico perché rischia di far dilatare in modo innaturale il bagaglio ideologico, culturale e politico di chi come Renzi continua a presentarsi come paladino di un partito comunque alternativo al liberismo del centro destra. Se un uomo politico si appella ai voti di un preciso elettorato, poi a quello stesso elettorato dovrà rendere conto nell’attuazione del suo programma di governo, come dire non si può amare Dio e Mammona al tempo stesso, una scelta di campo va comunque fatta. A meno che il buon Renzi non voglia ripercorrere la strada che duemila anni fa un certo Ottaviano Augusto scelse rimanendo al timone dell’Impero Romano per decine di anni facendo letteralmente finta di governare, ovvero dando continuamente un colpo al cerchio e un colpo alla botte per non scontentare nessuno fino alla fine decretata dal Padreterno in persona.

di Roberto Crudelini

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Di Redazione Elzeviro.eu

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