Le conseguenze sociali, politiche ed economiche della pandemia in atto potrebbero scaturire in un nuovo assetto geopolitico internazionale.
Potrebbe avvenire un riequilibramento tra Est e Ovest, facilitato da un’ amministrazione e da un sistema sociale ed economico ormai in avaria: quello Atlantico. Potremmo assistere ad una ristrutturazione del sistema capitalistico globalizzato a favore di una maggiore segmentazione ed intensificazione delle rivalità.
Il capitalismo dagli anni ’80 ad oggi ha visto una profonda dislocazione delle catene di produzione, che ha provocato una stringente e forse eccessiva interdipendenza tra le principali economie. Motivo per il quale oggi abbiamo ragione di preoccuparci, e non poco, considerando come già la Grande Depressione del 1929, in un’epoca in cui il concetto dello “stato nazione” era all’apice della popolarità, avesse raggiunto un estensione quasi mondiale.
L’ appello alla solidarietà di cui molti leader politici (soprattutto europei) si stanno facendo promotori, risulta quasi come una sommessa richiesta d’aiuto, un’invocazione al cosiddetto “bail-out”. La paradossalità di questo trend è insita nel fatto che è universalmente riconosciuto come l’eccessiva interdipendenza, il cosiddetto neoliberismo, sia la miccia attraverso il quale questo virus ha potuto diffondersi ovunque.
Tre possibili evoluzioni geopolitiche
Le Monde Diplomatique prevede tre possibili scenari geopolitici: la prima prevede una più stretta cooperazione attraverso le istituzioni internazionali responsabili della fornitura di beni pubblici. In alternativa, potremmo assistere di decentralizzazione radicale, caratterizzata da una maggiore concorrenza tra gli stati, i quali cercheranno di massimizzare il loro potere. In ultima analisi, la rivista politica francese spiega come potrebbe emergere una configurazione ibrida in cui cooperazione e rivalità si potrebbero confondere nei vari settori della politica internazionale.
L’ influenza delle elezioni americane
Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America previste per il prossimo martedì 3 novembre svolgono quest’anno un ruolo fondamentale. Le conseguenze per il nuovo possibile scenario internazionale, in caso di vittoria democratica, potrebbero non cambiare cosi significativamente come si potrebbe prevedere dal passaggio da Trump a Biden.
Probabilmente stiamo nutrendo troppe aspettative per colui che in fin dei conti è un candidato democratico conservatore. Il Partito Democratico è stato dipinto come l’unica forza in grado di cambiare la politica americana, ma il sistema bipartitico americano è debilitante in questo caso. Il senatore del Vermont Bernie Sanders e l’ex vicepresidente Joe Biden, è strano ma è cosi, appartengono allo stesso partito. Se, per il primo, è più realistico pensare che qualche cambiamento possa realmente avvenire, per il secondo purtroppo dobbiamo schiarirci le idee.
Dal punto di vista dei rapporti con la Cina, Biden la pensa come Trump. In ambito più generale, la propensione all’unilateralismo del presidente repubblicano potrà essere, sempre in caso di vittoria democratica, al massimo frenata. Rimane difficile un ritorno americano al multilateralismo e al soft power che, in fin dei conti, hanno portato il paese al primo posto tra le superpotenze.
Persino l’Unione Europea nutre grandi aspettative su un miracoloso ritorno americano nella scena internazionale sulle orme del secondo dopoguerra. Si trova pericolosamente a cercare approvazione e aiuti tra Usa e Cina, tra oriente ed occidente, causando un costante calo dell’influenza europea nel resto del mondo. Prima capiremo e ci imporremo che il nostro futuro è nelle nostre mani, prima saremo in grado di limitare i danni.