Ancora una volta, “l’amaca” si dimostra metafora emblematica di Michele Serra: l’opinionista che, da una posizione di comodità e privilegio, pontifica sulle difficoltà di un mondo che non conosce. O che, come nell’ultima fattispecie, persuade il popolino ad accettare una crisi che non lo ha investito.
di Antonio Di Siena
Illuminante l’amaca di Michele Serra. In un lucidissimo delirio di liberismo misto a darwinismo sociale, il nostro illustre opinionista ci ammonisce dal non avere troppe pretese. Sentenziando che pretendere che ci venga restituito tutto ciò che ci è stato tolto a causa della pandemia è “protervo e parimenti sciocco”.
Perché la pandemia è piovuta dal cielo, mica tutto il dramma umano e sociale che si è abbattuto su decine di migliaia di famiglie è stato causato da decenni di de-industrializzazione, tagli al welfare e alla sanità e da un piano pandemico inesistente. È stata solo sfortuna, perché “la sfiga esiste”. E “non esiste il diritto alla ricchezza e al reddito invariato”.
In buona sostanza per questa sottospecie di intellettuale che parla come un curato di qualche secolo fa, siamo come i servi della gleba. Né più né meno. E non dobbiamo lamentarci se siamo più poveri di prima. È successo, volontà di Dio. Amen.
Altrove nel mondo (UK, USA, Cina, Giappone, Australia, Israele, ognuno a modo proprio e a seconda del proprio modello politico-economico ) il sostegno dello Stato è arrivato. Perché da quelle parti lo Stato esiste. E piano piano quei popoli non vengono soltanto rimessi nelle condizioni ex ante. Ma addirittura si pongono le basi per ripartenze ancora più robuste.