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L’errore che Ilaria Cucchi non deve commettere

Ilaria Cucchi, durante la trasmissione "Porta a Porta''.

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I mormorii su un suo possibile impegno politico si susseguono. Uno scenario che dovrà rifiutare categoricamente, per non prestare il fianco ai suoi detrattori.

 

I recenti sviluppi giudiziari, oltre a restituire speranza ai famigliari della vittima, hanno riportato il caso di Stefano Cucchi e della sua tragica scomparsa al centro del dibattito mediatico. Anche se, in realtà, parlare della famiglia in senso allargato in relazione all’interesse dei media, pare decisamente fuori luogo: tanto oggi, quanto all’inizio di questo straziante e rocambolesco iter processuale.

Fin dall’ormai lontanissimo 2009 infatti, la sorella Ilaria -volente o nolente- ha polarizzato l’attenzione di tutti gli organi di informazione e dell’opinione pubblica, diventando per alcuni il simbolo della resistenza di fronte ai soprusi degli uomini in divisa, per altri un semplice avvoltoio in cerca di fama e notorietà. Nello specifico quest’ultimo partito, quello cioè dei suoi detrattori, può essere suddiviso in due ulteriori e più dettagliate sottocategorie: coloro che la stigmatizzano per motivi di opportunità politica e coloro che lo fanno per un evidente difetto di onestà intellettuale.

 

I feticisti della divisa

Sugli ultimi invero, non c’è molto da dire. Vuoi perché non si tratta di soggetti stimolanti dal punto di vista socio-antropologico, vuoi perché non rappresentano un ostacolo concreto nella ricerca della tanto sospirata verità. Soprattutto per una donna indubbiamente determinata e combattiva; una donna che ha perseverato con lo stesso piglio per (quasi) un’intera decade, senza arretrare di un centimetro nemmeno nel 2014, di fronte alla sentenza della Corte d’Appello che assolse tutti gli imputati.

Quelli di cui si parla sono individui affetti da un viscerale feticismo per la divisa, hanno una debolezza per tutto ciò che è autoritario e muovono dalla ferma convinzione che il progresso della società passi per un esclusivo dispiego della forza coercitiva dello stato, unito a minori rivendicazioni di diritti individuali: in buona sostanza, i destrorsi più puri ed intransigenti.

Soggetti talmente ammaliati dalle forze dell’ordine, da utilizzare le argomentazioni più ridicole, pur di non ammettere i propri sospetti -inevitabili per chiunque- di fronte al referto autoptico ed alle foto del cadavere tumefatto. Soggetti così ottusi, da incaponirsi in maniera pretestuosa sulle cattive abitudini e sullo stile di vita di Cucchi, pur di difendere incondizionatamente quei funzionari pubblici che dovrebbero garantire la sicurezza collettiva. Soggetti che per la sorella di Stefano, dovrebbero essere fonte di forza e non di tormento.

 

La seconda sottocategoria

Ilaria Cucchi esibisce l’ormai celebre poster, che ritrae il fratello sul tavolo dell’obitorio.

L’altra sottocategoria (di cui il nostro Ministro dell’Interno è illustre rappresentante), seppur sospinta da motivazioni differenti, è in ogni caso legata a doppio filo con quella poc’anzi delineata. Chi si oppone alle rivendicazioni di Ilaria Cucchi per ragioni di opportunità politica -al netto delle reali convinzioni personali sulla vicenda- lo fa per accattivarsi, o preservare, le simpatie di un bacino di utenza elettorale, composto proprio dai destrorsi autoritari di cui sopra.

Ebbene, le recenti confessioni di Francesco Tedesco (con le quali l’imputato ha ammesso il violento pestaggio subito dal giovane romano e prodotto un imprevedibile ribaltone processuale) hanno preceduto di qualche giorno la ripresa dei mormorii su un altro futuribile impegno politico: in questo momento, l’ultimo salvagente rimasto ai suddetti detrattori.

 

L’errore da non commettere

Ecco, se c’è un errore strategico che la sorella di Stefano non deve commettere, è proprio quello di usufruire nuovamente della popolarità ottenuta fino ad oggi per candidarsi in qualche lista elettorale; e non tanto per il rischio che un solo partito -come fece Ingroia nel 2013- possa appropriarsi di una battaglia che dovrebbe essere di tutti, quanto piuttosto per evitare di offrire un espediente a chi abitualmente campa di stratagemmi politici. Sarebbe fin troppo facile delegittimare o sminuire un decennio di sacrosante crociate (contro quello che assume sempre di più le sembianze di un insabbiamento di stato), attribuendo ad Ilaria la volontà di strumentalizzare la vicenda, nonché di ottenere un notevole beneficio per la sua carriera ed il suo portafoglio. Beneficio che, dietrologia a parte, sarebbe innegabile per una donna del suo lignaggio.

Quando questa agonia -lenta e straziante, ma perfettamente in linea con i tempi della giustizia italiana- sarà terminata, Ilaria Cucchi non dovrà cadere in tentazione, bensì dileguarsi e sparire nell’ombra. Solo così la sua lotta potrà diventare un emblema contro le prepotenze dello stato: un simbolo alla portata di tutti e più forte di ogni volgare escamotage accalappiavoti.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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