La morte dell’attivista e giornalista saudita Jamal Khashoggi ha scatenato la furia del mondo liberal occidentale contro l’Arabia Saudita. Un’attenzione mediatica come mai vista prima si è improvvisamente compattata e come una “testuggine” sta dirigendo tutto il suo sdegno contro il regno waahabita.
La potenza di un’ideologia, a prescindere dalla sua condivisione, va commisurata sempre rispetto alla coerenza di fondo. L’ideologia dovrebbe infatti rappresentare una visione del mondo chiara e nitida, di una persona, di un’organizzazione, di uno Stato o ancora di un’intera società.
La debolezza del pensiero liberal occidentale
Ecco, è innegabile che proprio la società occidentale, quella che partendo dall’Europa orientale abbraccia le due sponde dell’Atlantico, si dia spesso vanto di possedere la visione del mondo migliore di tutte quelle esistenti. Complice l’ingenua (e infantile) credenza che un sistema all’apparenza democratico, ma interiormente corrotto, possa rappresentare una qualche forma di superiorità intellettuale, la suddetta società si permette di diffondere le proprie omelie esistenziali ad ogni evento internazionalmente rilevante.
Ma come quegli studenti che si offrono inspiegabilmente volontari, smascherando poi incredibili lacune, la lezione morale occidentale crolla puntualmente, trasformandosi in un imbarazzante outing delle proprie debolezze strutturali. Ipocrisia e incoerenza sono caratteristiche che troppo spesso stanno smascherando quella che è una società tanto vanitosa delle proprie presunte conquiste quanto povera di contenuti. L’affare Khashoggi dimostra in maniera piuttosto evidente la tesi finora proposta.
Fatto a pezzi e sciolto nell’acido, il metodo mafioso saudita
Dal 2 ottobre, quando il giornalista saudita è entrato nel consolato di Istanbul, ad oggi, società civile e media non hanno perso un giorno nel rimarcare la crudeltà del regime saudita, nonché la necessità di troncare di netto qualsiasi rapporto diplomatico o economico con il regno. Crudeltà che, quasi senza dubbio, pare essere comprovata dalle continue testimonianze, ogni giorno sempre più insistenti. Strangolato, fatto a pezzi e sciolto nell’acido. Insomma, a quanto dice la procura turca, il regime saudita sembra non essere andato troppo per il sottile con il giornalista Khashoggi.
La pressione civile è stata così forte, soprattutto negli Stati Uniti, che lo stesso Presidente Trump si ritrova ora costretto a rivedere la posizione rispetto allo storico alleato saudita. Ci troviamo dunque di fronte a una bella favola, il cui lieto fine vedrebbe il cattivo, in questo caso l’Arabia Saudita, isolato e sconfitto dalla bontà incorruttibile del resto del mondo. In questa versione c’è però qualcosa che stona profondamente. Sembra infatti che l’occidente si sia auto conferito il merito di aver scovato il colpevole morale, dopo una lunga e accurata indagine. Eppure c’erano già così tanti indizi, per usare un eufemismo, che da tempo dimostravano la profonda crudeltà del regime saudita.
Dov’era l’Occidente durante i bombardamenti in Yemen?
Giusto per citarne uno, dal 2015 l’Arabia Saudita è impegnata in un sanguinoso conflitto in Yemen. Guerra che, invero, avrebbe più i caratteri di un’aggressione contro uno Stato sovrano. Le bombe dei sauditi in Yemen, sganciate sotto gli occhi di tutti, hanno scatenato “la peggiore crisi umanitaria del Secondo dopoguerra”, come sostenuto dalla Croce Rossa Internazionale. La stessa istituzione afferma che oggi circa 15 milioni di yemeniti non hanno accesso all’acqua potabile, mentre oltre 2 milioni di bambini non possono più andare a scuola. Dal 2016 ad oggi la guerra saudita ha causato 56.000 morti, mentre i casi di colera sono saliti ad un milione.
Cifre, e immagini, che dovrebbero far scattare dalla sedia tutti gli internauti pronti a cinguettare furiosi sul caso Khashoggi. E invece nel mondo occidentale la vita di un giornalista del Washington Post vale molto di più rispetto a quella di qualche migliaio di abitanti di un Paese situato chissà dove. La catastrofe umanitaria in Yemen non ha impedito poi ai Paesi occidentali, su tutti Gran Bretagna e Stati Uniti, di sottoscrivere fruttuosi contratti con il regno saudita. Contratti che si trasformavano in un attimo in ordigni pronti ad esplodere sulle teste degli yemeniti. E in tutto questo, media e società civile? Silenzio assoluto. Solo per citare un esempio, “Nel 2017 Mnsbc (famoso canale all news americano) ha trasmesso 1.385 servizi sul Russiagate, la Russia e i russi e solo 82 in cui veniva nominato lo Yemen”, come riportato su Gli Occhi della Guerra.
La grande onestà intellettuale del Presidente Trump
Insomma sembra proprio di vivere di persona quel proverbio in cui il saggio indica la Luna, mentre lo stolto guarda il dito. Tra il dito e la luna, come tra Khashoggi e lo Yemen corre un mare di spazio, occupato dal costante rigurgito di ipocrisia di cui è composto il pensiero occidentale. Per fortuna, in questa melma di incoerenza, è arrivata un’inaspettata, quanto speranzosa, confessione.
“Credo che [lo stop alle vendite] ci danneggerebbe. Abbiamo posti di lavoro […] sarebbe una pillola molto, molto dura da mandare giù per il nostro Paese”
la dichiarazione di Trump in merito ad una possibile rottura diplomatica con i sauditi è di una franchezza commovente.
Finalmente un Presidente americano ha ammesso senza vergogne o mezzi termini l’esistenza di interessi economici più forti delle convinzioni morali. Standing ovation. Una confessione che per onestà intellettuale vendica (finalmente) tutta l’ipocrisia della Presidenza precedente. È purtroppo ancora ben vivo nella mente quel Presidente che ha chiamato a raccolta tutto il mondo arabo, auspicandone la liberazione dalle dittature. Un Presidente, Obama, che, contemporaneamente, ha stabilito il più alto record di vendita di armi, 115 miliardi di dollari, proprio ai sauditi. E con questo Premio Nobel per la Pace dalla spiccata attitudine per la guerra auspichiamo che si sia chiusa una delle peggiori parentesi di ipocrisia etica della storia contemporanea.