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Tra la Diciotti e la Grecia c’è tutto il disastro dell’Unione europea

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È terminata dopo giorni di attesa e fermento la rocambolesca vicenda legata alla nave Diciotti, che con buona probabilità segnerà un punto di svolta per la storia dell’Unione europea.

Nessun osservatore è riuscito infatti a cogliere la connessione, quel filo invisibile che lega l’episodio della nave ormeggiata al porto di Catania con almeno altri due eventi di grande portata, irrimediabilmente legati al futuro di Bruxelles.

Il fallimento di Bruxelles in tre mosse

Si tratta della cosiddetta “fine dell’austerità” in Grecia da una parte e del disastroso crollo del Ponte Morandi di Genova dall’altra. Tre vicende apparentemente lontane, ma legate da un unico denominatore comune: l’Unione europea. Unione intesa come progetto che lega gli Stati del vecchio continente in una condivisa visione per il futuro. Perché è questo che in soldoni dovrebbe stare alla base del “sogno europeo”.

Ecco, queste tre vicende, proprio per la loro vicinanza temporale, hanno de facto scoperto le carte, mostrando un bluff, che in realtà doveva essere già chiaro da tempo. Andiamo con ordine.

L’Unione europea lascia l’Italia sola nella gestione degli immigrati

L’ultimo vertice tra i capi di Stato europei, in cui l’Italia aveva portato una proposta sull’immigrazione suddivisa in dieci punti, sembrava aver sancito la volontà di superare il precedente accordo di Dublino, mettendo nero su bianco quel principio di solidarietà secondo cui “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”. Si trattava, più che di un accordo scritto, di una preliminare stretta di mano. Il Governo italiano ha così deciso di mettere subito alla prova tale accordo verbale, scegliendo il periodo post vacanziero per avere un maggior ritorno in termini mediatici.

Il salvataggio di 177 persone in acque maltesi da parte della nave Diciotti della Guardia costiera italiana e la richiesta di approdo e sbarco nel territorio italiano, è divenuto così il casus belli per vedere quanta effettiva solidarietà ci fosse all’interno dell’Unione. Dopo giorni di attesa e trattative dietro le quinte, l’Unione europea ha risposto assente. Gli immigrati della Diciotti saranno ripartiti infatti tra Irlanda, Albania e Cei. Bruxelles dunque fallisce non solo nella costruzione di una strategia comune, ma nella gestione stessa di un’emergenza immediata, il che fa mettere in discussione il principio stesso della sua esistenza. Non essendoci solidarietà in termini di immigrazione, la stessa assenza di volontà comune potrebbe riscontrarsi in casi ben più gravi, come quelli di un’ipotetica invasione militare o attacco terroristico su larga scala.

La Grecia è uno Stato fallito

Dimostrato dunque il fallimento di un progetto politico condiviso, rimarrebbe sul piatto solo quello economico. Tuttavia gli altri due episodi sopracitati ci dicono che anche l’unione economica non ha prodotto risultati così brillanti. Prendiamo la Grecia. “Il più grande successo dell’euro”, come da definizione di Mario Monti, ha terminato il programma di aiuti e aggiustamento strutturale, concordato o imposto a seconda dei punti di vista, dell’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale. I parametri economici, quelli cari a Bruxelles, sono rientrati su binari rassicuranti. Parliamo di Pil, investimenti dall’estero, esportazioni e surplus del bilancio dello Stato.

Gli osservatori, anche non euroscettici, sono però tutti concordi nel descrivere un costo sociale disumano per ottenere tutto questo. “La Sanità greca si è disintegrata. Atene ostinatamente insiste con le Austerità che costringono il sistema sanitario a bastonare i più deboli”, scriveva il The Guardian nel 2017 e riportato recentemente da Paolo Barnard.

La disoccupazione, – scrive Riccardo Sorrentino dalle colonne del Sole 24 Ore – che dal 12% del ’99 era scesa al 7,8% nel 2008, è balzata fino al 27,5% nel 2013, mentre le spese per la protezione sociale si sono contratte del 17%. L’economia, in assenza di una svalutazione esterna, ha risposto secondo manuale. L’indice dei prezzi si è leggermente contratto, mentre le retribuzioni (e il costo del lavoro) sono calate del 16% rispetto al 2010 (la flessione è stata del 10% nel solo 2013)“.

Una macelleria sociale messicana insomma, che si è poi concretizzata con la svendita di strategiche infrastrutture nazionali ad investitori stranieri.

Svendite e servizi peggiorati, così l’Unione ha fallito anche nel progetto economico

“L’Unione europea serve per reggere la competizione con i giganti asiatici, come la Cina”, sostengono da sempre gli europeisti più convinti. In Grecia, la permanenza nell’Ue, ha avuto l’effetto opposto. Investitori cinesi hanno infatti potuto comodamente comprare le aziende statali greche. L’azienda cinese Cosco ha infatti ottenuto il controllo del porto del Pireo senza colpo ferire.

La Cosco all’interno del porto del Pireo

Questo modello economico voluto a Bruxelles secondo cui il rischio di investimento per pochi deve essere fatto ricadere sulle spalle di molti si è infine concretizzato nella tragedia del Ponte Morandi di Genova. Non c’è infatti episodio più azzeccato che possa riassumere le sciagurate conseguenze di una politica dei servizi pubblici data in concessione a soggetti privati. Quel magico mondo secondo cui la libera concorrenza tra attori privati genererebbe in automatico migliore efficienza nei servizi al netto di prezzi più bassi, non esiste. La concessione della rete autostradale italiana in mano a un soggetto privato ha dato l’effetto opposto. Un servizio peggiore con un costo maggiore.

E il legame tra la tendenza privatizzatrice degli Stati europei e l’Unione è innegabile. Tutto questo sistema di “concessioni” nasce infatti negli anni ‘90, subito dopo la firma del Trattato di Maastricht. Quell’accordo che impedisce agli Stati di fare deficit (cioè spendere) oltre al 3% del proprio Pil. Così privati della capacità di spesa gli Stati nazionali europei hanno dovuto, gioco forza, affidare servizi e infrastrutture ad attori non statali. Gli effetti di queste scelte politiche si possono però misurare solo sul lungo periodo e oggi siamo finalmente giunti alla fine di questo grande lungo periodo con dei risultati evidenti sotto agli occhi.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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