La Commissione europea ha pubblicato una tabella che raccoglie le previsioni di crescita economica del 2019 per ogni singolo Stato membro.
Alcune riflessioni sul rapporto della Commissione europea
Qualsiasi economista in buonafede conosce la volatilità e quindi l’insignificanza di previsioni economiche (un mese prima del crollo della Lehman Brothers nessuna istituzione sovranazionale era riuscita a prevedere alcunché).
Imputare questa presunta nanocrescita ad una manovra economica approvata l’altro ieri è pura follia (o malafede).
L’Italia che diventa fanalino di coda dell’Europa
dovrebbe far riflettere sulla distruzione industriale patita dal nostro Paese dopo la ratifica del Trattato di Maastricht (quello che impone agli Stati membri di non sforare il rapporto deficit/PIL oltre il 3%). Prima del ‘92 l’Italia era la quarta potenza industriale al mondo con un debito alto ma sostenibile (come dicevano le agenzie di rating di allora).
È incredibile, infine, che nel 2019 si utilizzi ancora il PIL come unico parametro per calcolare la crescita e il benessere di un Paese. È dal 1998, anno in cui vinse il Nobel per l’economia, che Amarthya Sen scrive libri, articoli e saggi dal tema “oltre il Pil”, in cui dimostra quanto l’indicatore del PIL sia poco rappresentativo rispetto alla realtà vissuta dai cittadini di un Paese.
Ci sono un’infinità di altri parametri che avrebbe eguale significato nel rappresentare la salute di uno Stato: l’accesso gratuito ai servizi di base, il numero di figli per nucleo famigliare, il tasso di alfabetizzazione e via dicendo. Inoltre vi è la possibilità di combinare assieme più parametri, come nel caso dell’indice di sviluppo umano, un parametro comparativo che svolge tale funzione.