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Fallimento europeo, ruolo del governo e caso Lombardia: intervista a Fabio Dragoni

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Gli strascichi lasciati dalla pandemia e dalla conseguente quarantena, sono destinati a modificare in modo profondo la genetica della società contemporanea. Dal destino dell’Europa, alla stabilità del governo, passando attraverso la rivoluzione dello smart working. Ne abbiamo parlato con Fabio Dragoni: editorialista de La Verità, imprenditore in campo sanitario e “bocconiano pentito”.

D) I vertici europei hanno proposto nell’ordine Sure, Mes e Recovery Fund: sono tutti mezzi inidonei ad affrontare la crisi, come asserito dalle forze di opposizione? Se sì, quali sono le principali criticità tecniche di questi strumenti?

R) Detta in maniera semplice sono tutte partite di giro e di raggiro. Chiediamo a qualcun altro soldi che dovremo restituire ed investirli come vuole lui. Un po’ come chiedere un mutuo col direttore di Banca che sceglie le piastrelle di casa tua. Servono soldi che il Paese debba spendere ed investire. Chi mette i soldi? La Banca Centrale come in ogni parte del mondo. Dove si mettono i soldi? La democrazia esiste per questo: chi governa decide. Non ho alcuna fiducia in chi governa, ma nella democrazia sì. Dipendesse da me, erogherei soldi a fondo perduto alle imprese così come alle famiglie.

D) Il mancato accordo sulle misure da adottare a livello comunitario (dopo ben tre mesi di quarantene forzate), può essere considerato il vero grande fallimento del progetto europeo?

R) Fallimento ampiamente previsto, considerato che in Europa devi mettere d’accordo ben 27 stati. In America no, in Giappone neppure. Se questi paesi devono stampare e spendere soldi loro lo fanno. Non riuniscono squadre di diplomatici per decidere ciò che tutti sanno essere necessario fare: stampare denaro e spenderli a deficit. Il progetto europeo è intrinsecamente fallimentare. Ecco perché non reggerà.

Fabio Dragoni

D) In base alla sua ampia conoscenza del settore sanitario, come valuta la gestione dell’emergenza da parte del governo? Esiste veramente un “modello Italia”- come sostenuto a più riprese dal premier Conte – oppure ritiene siano stati commessi errori evitabili?

R) Sulla parte sanitaria il vero grande errore è stato non fare tempestivamente le autopsie e la responsabilità in tal senso è di Palazzo Chigi. La dissezione dei cadaveri ha consentito e consente passi avanti giganteschi in medicina; avremmo scoperto tempestivamente che la morte del paziente COVID era soprattutto dovuta a trombosi disseminata. Oggi i medici sanno cose che tre mesi fa non sapevano e quindi fra eparina, clorochina e plasma iper immune le terapie intensive non sono più intasate. Per quanto concerne il modello Italia, semplicemente non esiste: in proporzione agli abitanti abbiamo più morti di tutti, escludendo Regno Unito e Belgio. Stendiamo un velo pietoso poi sulla Cina. Chiunque sa che i loro numero non sono quelli ufficiali.

D) Le statistiche della Lombardia hanno acquisito assoluta centralità nel dibattito politico e pubblico, portando in molti casi ad accuse frontali verso l’amministrazione Fontana. Dove finiscono le responsabilità della giunta e dove inizia la speculazione politica?

R) La costituzione parla chiaro e pure i magistrati inquirenti a Bergamo lo stanno confermando: la responsabilità della profilassi in caso di epidemia è dello Stato. L’unico che ha gli strumenti per chiudere un’intera area del paese (servono forze dell’ordine ed esercito che una regione ovviamente non ha). Dopodiché, ogni regione fa storia a se. La Lombardia motore economico del Paese, apertissimo ai traffici internazionali e ad altissima densità di popolazione, era il brodo di coltura ideale per far crescere il virus. Sicuramente più di un Veneto che al dinamismo economico lombardo, non associa le stesse caratteristiche socio-demografiche. Poi mettiamoci due eventi da vera sliding doors: la partita Atalanta -Valencia a Milano e la festa di San Faustino a Brescia proprio in quei giorni. Vabbè ciao.

Attilio Fontana e Giuseppe Conte

D) Il rafforzamento del cosiddetto smart working dovuto alla quarantena, sembra destinato a perdurare anche dopo il ritorno alla normalità. Si tratta davvero di un progresso inestimabile per il mondo del lavoro o non è tutto oro quel che luccica?

R) Progresso incontestabile certo, ma denso di problemi. Io, ad esempio, guardo alla mia esperienza personale: ho scoperto quanto tempo inutile trascorrevo in macchina per spostamenti altrettanto inutili. Servizi e P.A. possono sicuramente lavorare in smart working, giovando di uffici molto meno affollati. Ed è proprio qui arriva un problema, diretta conseguenza del grande esodo dagli uffici; ce lo spiegano bar e ristoranti, che in pausa pranzo fanno la metà dei coperti. Anche questi numeri fanno paura

D) L’esecutivo esce rafforzato o indebolito da questa pandemia? Nell’eventualità di una crisi di governo qual è lo scenario più plausibile: un rimpasto all’insegna dell’unità nazionale o nuove elezioni?

R) Questo governo è buono a nulla ma capace di tutto. Debole più di prima, incapace peggio di prima, dovendo nel frattempo affrontare la più devastante crisi economica di tutti i tempi in momento di pace. Non vedo elezioni a breve, ma mi sono sbagliato talmente tante volte su questo argomento che sarei felicissimo di farlo stavolta. Il governo di salute pubblica sarebbe la soluzione oggettivamente migliore fra quelle concretamente realizzabili. Ad una condizione: di Conte e Gualtieri non dovrebbero rimanere neppure le sagome di cartone.

 

Intervista a cura di Filippo Bacino

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