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Battisti: «non devo chiedere scusa, l’Italia è un paese così arrogante»

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 “Tutte le morti sono deplorevoli. Ma non c’è motivo che io chieda scusa per qualcosa che hanno commesso altri”

L’Italia è “un paese così arrogante”,

ha detto Battisti intervistato dal quotidiano brasiliano ‘Folha de S.Paulo’.

 “Oggi abbiamo un governo che è veramente democratico in Brasile e non possiamo dare protezione a un delinquente. L’estradizione deve essere compiuta”,

ha detto a Milano il sindaco di San Paolo, João Doria, dopo aver incontrato il sindaco di Milano, Giuseppe Sala.

LE GESTA

La prima vittima imputata a Cesare Battisti è Antonio Santoro, maresciallo della appartenente al corpo di Polizia penitenziaria, che venne freddato il 6 giugno 1978 a Udine. Il delitto viene rivendicato dai Proletari Armati per il Comunismo (Pac), gruppo terroristico di appartenenza del Battisti. La sentenza, passata in giudicato, indica il terrorista italiano è uno dei due killer.

Il 16 febbraio 1979 sono compiuti due efferati assassinii: alle 15 circa, a Milano viene ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani, il quale aveva, il 22 gennaio precedente, freddato un rapinatore durante una tentata rapina. Nel corso di questo episodio delittuoso, nella sparatoria, rimase permanentemente ferito Alberto Torregiani, il figlio 15enne, da allora costretto su una sedia a rotelle.

Alle 18 a Santa Maria di Sala (Venezia) viene ammazzato Lino Sabbadin, macellaio di Mestre vicino agli ambienti della destra italiana, si era opposto con le armi ad un tentativo di rapina. Battisti viene condannato come co-organizzatore, i magistrati riconoscono l’attività del Battisti come quella di “copertura armata” all’esecuzione materiale.

L’ultimo omicidio per il quale è stato condannato in via definitiva Cesare Battisti risale al 19 aprile 1979: la vittima è Andrea Campagna, agente della Digos.

I TIMORI DEL TERRORISTA

“Se il Brasile confermerà la mia estradizione mi consegnerà alla morte”.

Così Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Proletaria Armati per il Comunismo (Pac) latitante da 36 anni, si è espresso sulla possibilità che il presidente Michel Temer revochi il suo status di rifugiato politico, in un’intervista al giornale O Estado de Sao Paulo.

“Vorrei che il presidente Temer prendesse coscienza profonda della situazione, anche perché ha tutti gli strumenti giuridici e politici per fare un atto di umanità e lasciarmi qui”. 

Temer, il presidente del Brasile, è invero un professore di diritto costituzionale.

SULL’ARRESTO AL CONFINE DELLA BOLIVIA

Ai giornalisti di O Estado ha riferito che quel giorno si trovava su un’automobile con degli amici per andare “in Bolivia a comprare giacche di pelle, vino e materiale da pesca” e che la polizia federale li “ha seguiti”:

“Ci stavano aspettando, da tempo l’operazione era stata preparata con l’aiuto dell’ambasciata italiana. Era evidente – continua il latitante – c’erano persone che non avrebbero dovuto lavorare alla frontiera”, e poi “erano molto contenti, ballavano”.

Rilasciato dopo sei ore grazie all’intervento del suo avvocato aggiunge: “Era evidente che ci aspettavano”. “Non avevo pensato” di lasciare il Brasile, dove la sinistra degli ex presidenti Lula (condannato per corruzione) e Rousseff (decaduta per impeachment) non è più al potere,

“ma se avessi voluto uscire dal Paese non sarei andato in Bolivia. Ho più legami in Uruguay, per cui sarei andato lì. È un Paese un po’ più affidabile”.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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