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“Rischiate di morire”: i militari minacciano i manifestanti in Birmania

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La tensione si fa sempre più alta in Birmania, dopo che la giunta militare ha minacciato l’uso della violenza contro i manifestanti. Tuttavia, gli arresti e i primi morti non sembrano intimidire la popolazione, che ogni giorno scende in piazza per chiedere il ritorno della democrazia e la liberazione di Aung San Suu Kyi.

I manifestanti stanno esortando le persone, in particolare adolescenti e giovani esaltati, a intraprendere la strada dello scontro, in cui periranno.

Così recita un comunicato in birmano letto sul canale pubblico Mrtv la sera del 21 febbraio. L’intento della giunta militare è quello di dissuadere i giovani dall’intraprendere iniziative pericolose per la loro incolumità, specie l’ultimo fine settimana in cui sono morti tre manifestanti.

Il 22 febbraio, però, la folla nelle strade delle grandi città non si è limitata ad essere semplicemente più numerosa; l’ultima mobilitazione infatti, nello specifico, è stata tanto massiccia da battere il record di adesioni popolari dal giorno in cui è stato compiuto il colpo di Stato, il 1 febbraio.

Usa e Ue annunciano sanzioni contro i leader della giunta militare

Di fronte alle violenze avvenute negli ultimi giorni in Myanmar, sono intervenuti diversi personaggi della comunità politica internazionale. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken, ha tenuto a precisare che la Casa Bianca è “a fianco della popolazione birmana“; inoltre ha chiesto con fermezza la fine agli attacchi contro i manifestanti pacifici e il rilascio dei cittadini “ingiustamente detenuti“.

Anche l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell è intervenuto, spiegando che nell’ultimo Consiglio “Affari esteri” è stato raggiunto un accordo per applicare sanzioni nei confronti dei militari responsabili del golpe. Nelle intenzioni, si tratterebbe di un embargo finalizzato a colpire gli interessi economici di questi ultimi, senza ledere quelli della popolazione: un piano che non vanta certo precedenti entusiasmanti.

I ministri degli Esteri dei Paesi del G7 condannano a loro volta l’accaduto puntando i riflettori sulle violazioni dei diritti umani. Nel comunicato firmato dai sette paesi, tra cui l’Italia, si legge:

L’uso di proiettili contro persone indifese è inaccettabile. Chiunque risponda con violenza a proteste pacifiche deve renderne conto.

Tuttavia l’esercito non vuole fare un passo indietro

Nonostante l’Unione Europea abbia deciso di intraprendere la strada delle sanzioni contro gli autori del colpo di stato, l’esercito appare comunque intenzionato a proseguire sulla sua strada.

Dopo tre settimane di scontro quotidiano tra una popolazione determinata e un esercito indisponibile ad arretrare, sembra non esserci spazio per le pressioni esterne. L’autorevole storico Thant Myinth-U in un post su Twitter, arriva ad asserire persino che gli interventi internazionali non avranno alcun peso sul destino della Birmania

Anche il popolo non si ferma, nonostante la storia violenta del Paese

Il Myanmar, giova ricordarlo, ha vissuto un passato piuttosto turbolento: inaccessibile e chiuso per mezzo secolo nella morsa di una dittatura militare. Ha cominciato ad aprirsi soltanto negli ultimi anni, con un percorso faticoso che ha portato al trionfo elettorale, nel novembre 2015, della Lega nazionale per la democrazia (LND) guidata da Aung San Suu Kyi (Nobel per la Pace nel 2012).

Per arrivare a questo traguardo, il popolo birmano è stato soggetto a sanguinose repressioni come quella nel 1988 e nel 2007. Ricordi che molto probabilmente, hanno spinto la nuova generazione a non demordere, riempiendo le strade con coraggio e determinazione per salvare il proprio futuro.

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Di Andreea Sbiera

Studentessa al terzo anno di Innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie presso l'Università di Torino.

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