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Oggi non sono berlinese

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Oggi, come nel novembre 2015 a Parigi, come a Luglio 2016 a Nizza, come in Belgio, come altrove, l’Europa piange i morti del presunto attentato terroristico avvenuto ieri sera a  Berlino.

Un tir si è lanciato in velocità sulla folla che si era radunata in un mercatino natalizio.

Ancora orrore, ancora morti, ancora vittime innocenti.

Ma, oggi, all’indomani di un’altra giornata di dolore, chi scrive non prova nessun sentimento di pena o pietà. Con onestà, i fatti di ieri sera non hanno destato grande interesse.

Piuttosto, la sottoscritta ha provato un senso di dolore nel vedere le vittime di Aleppo, i bambini orfani che vagano tra le macerie, giovani donne che twittano per far sapere al mondo della propria situazione angosciosa, spesso, semplicemente, aspettando la fine, macerie come quinte di una tragedia che sembra non avere fine.

Sui social network imperversa la bandiera tedesca, oggi sono tutti berlinesi, figli di una Germania che tutti detestano.

Abbiamo pianto i morti di ogni dove ma nessuno ha pianto nella stessa misura i nostri, vittime (molte, ma molte di più) dei terremoti che hanno dilaniato il nostro paese. Nessuno ha spento la Tour Eiffel in segno di lutto, nessuno ha messo sulla propria bacheca di Facebook il nostro tricolore, nessuno si è sentito figlio di Amatrice o Norcia. Due pesi e due misure, anche quando si parla di morte.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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