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Svalutazione e spesa a deficit: sono veramente due mali da debellare? Chiediamolo all’Inghilterra.

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Di seguito verranno evidenziati alcuni dati relativi all’Inghilterra, Paese che fa parte dell’Ue ma che ha deciso di mantenere la propria moneta sovrana e soprattutto la propria autonomia sulla politica fiscale (quindi su imposte e spesa pubblica).

Parto dalla Crisi dei Subprime scoppiata negli Stati Uniti alla fine del 2006.

La crisi diventa avvertibile già nel febbraio-marzo 2007; ma è nel  settembre-ottobre 2008 che “scompaiono” diverse banche d’affari; la più nota è la banca statunitense Lehman Brothers che il 15 settembre 2008 dichiarò la bancarotta.

Il contagio di questa crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti giunse in Europa e  fece danni  soprattutto in Inghilterra.

Utilizzando una metafora, per l'”industria” finanziaria inglese (industria si fa per dire) tale crisi finanziaria è stata come per un macellaio vivere il periodo della “mucca pazza”.

Detto questo vediamo cosa è successo in Inghilterra in termini di svalutazione e spesa a deficit:

 

1)      c’è stata una significativa svalutazione della sterlina;  per avere un’idea, la sterlina a partire da settembre 2007 a dicembre 2008 ha iniziato progressivamente a svalutarsi nei confronti dell’euro di circa un 45 (quarantacinque) %;  se andiamo a considerare la svalutazione dal settembre 2007 ad oggi vediamo che si è assestata circa ad un 20 %; un 45 % da settembre 2007 a dicembre 2008 significa una svalutazione, su base annua, del 32 (trentadue) %;  anche nei confronti del dollaro c’è stata una svalutazione;  sempre per “tradurre” in numeri, da agosto 2008 a gennaio 2009 la sterlina si è svalutata nei confronti del dollaro di circa un 40 %;  visto il breve intervallo temporale in cui si è verificata questa variazione, “tradotto” su base annua, sarebbe di circa il 95 (novantacinque) %;

2)       a livello di spesa pubblica, se andiamo a considerare il primary balance (ovvero la differenza tra quanto entra in anno nelle casse dello Stato e quanto esce, senza considerare la spesa per interessi sul debito pubblico) consultando il database Ameco http://ec.europa.eu/economy_finance/ameco/user/serie/SelectSerie.cfm risulta che nel 2007 l’Inghilterra ha avuto un deficit primario (quindi spese, senza considerare quelle per interessi, maggiori delle entrate) per 13,8 MILIARDI di euro (0,7 % del PIL a prezzi di mercato); nel 2008 per 49,9 MILIARDI di euro (2,7 % del PIL a prezzi di mercato); nel 2009 per 149,3 MILIARDI di euro (9,4 % del PIL a prezzi di mercato); nel 2010 per 122,8 MILIARDI di euro (7,1 % del PIL a prezzi di mercato); nel 2011 per 77,2 MILIARDI di euro (4,4 % del PIL a prezzi di mercato); nel 2012 per 59,9 MILIARDI di euro (3,1 % del PIL a prezzi di mercato) ed infine nel 2013 per 53,1 MILIARDI di euro (2,8 % del PIL a prezzi di mercato). Facendo una semplice sommatoria, significa che, senza considerare la spesa per interessi, dal 2007 al 2013 l’Inghilterra ha avuto un cumulo di deficit per un totale di 526 (cinquecentoventisei) MILIARDI di euro (in Inghilterra c’è la sterlina ma per rendere al lettore italiano meglio equiparabile tale somma, ho preferito utilizzare la valuta euro).

 

Sia la svalutazione di una valuta nei confronti di un’altra valuta che la spesa a deficit, ai giorni nostri, vengono fatte apparire, dalla stampa di regime, come due PERICOLOSI MALI assolutamente da  contrastare in tutti i modi.

Se si svaluta, così ci viene ripetuto, pagheremo tutto di più, (qualcuno addirittura riporta alla luce l’epoca della Repubblica di Weimar (http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Weimar per approfondimenti) ed i costi energetici diventeranno insostenibili per i cittadini;  inoltre gli operatori finanziari, nel frattempo “fuggiti a gambe levate”, per ritornare ad investire nuovamente nel Paese, pretenderanno dei tassi allucinanti, dei tassi a due cifre per compensare la svalutazione della moneta.

Inoltre sistematicamente viene affermato dalle maggiori cariche (Commissione Europea e BCE tanto per citarne due) che  uno Stato che spende a deficit  non fa altro che “scavarsi la fossa” e ciò lo conduce inevitabilmente ad un default.

Trovo pertanto interessante riportare quanto è successo all’ Inghilterra, un Paese che di certo non si può definire  indipendente dall’Estero non solo sotto il profilo energetico ma anche manifatturiero, alimentare, etc…

Leggendo quanto scritto poc’anzi, si può verificare com’ è accaduto tutto quello che, secondo i grandi Guru della Commissione europea / Banca Centrale Europea NON è auspicabile accada mai in una Nazione per cui è interessante osservare cosa è avvenuto EX POST all’economia inglese.

 

Seguendo le “teorie” della Commissione europea / Banca Centrale Europea

 

1)      ci saremmo aspettati: una crescita dell’inflazione a livelli insostenibili; in televisione capita spesso di sentire, in particolar modo i deputati del Partito Democratico ed alcuni giornalisti de Il Sole 24 Ore, affermare che la “svalutazione” di una valuta implica “inflazione” con un rapporto 1 ad 1; per cui una svalutazione del 45 % avrebbe significato un’inflazione del 45 %;  andando nel sito dell’ Eurostat http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database e guardando l’HICP inflation rate (ovvero il tasso d’inflazione) vediamo che in Inghilterra era pari a 2,3 % nel 2007 (2,00 % in Italia), 3,6 % nel 2008 (3,5 % in Italia), 2,2 % nel 2009 (0,8 % in Italia), 3,3 % nel 2010 (1,6 % in Italia), 4,5 % nel 2011 (2,9 % in Italia), 2,8 % nel 2012 (3,3 % in Italia) e 2,6 % nel 2013 (1,3 %  in Italia). Sono semplicemente dei dati ufficiali pubblicati che fanno capire come tra inflazione e svalutazione non vi sia una correlazione 1:1;

2)      ci saremmo aspettati un significativo aumento del debito pubblico (i deficit alimentano il debito pubblico) con seguente diffidenza degli operatori finanziari ad investire nei titoli del debito pubblico inglese; oltretutto una svalutazione di quelle proporzioni nei confronti sia dell’ euro che del dollaro avrebbe sicuramente significato, per l’Inghilterra, un percorso obbligato di aumento dei tassi sui loro titoli il che avrebbe però determinato un innalzamento degli interessi sul debito pubblico  ed un ulteriore peggioramento dei conti pubblici, del deficit di bilancio, dell’aumento del debito pubblico, etc…I titoli di Stato del governo inglese prendono il nome di Gilt; sono l’equivalente dei nostri  BTP. I Gilt convenzionali hanno scadenze 5-10-30 anni e, dal 2005, sono stati anche emessi con scadenza 50 anni! E’ facile verificare che non vi è stata alcuna emissione con interessi a due cifre per combattere la svalutazione;  addirittura a novembre 2011, in piena crisi del debito pubblico dei “Paesi periferici” dell’area euro, Il Sole 24 ore, noto giornale di regime, doveva clamorosamente ammettere che il Gilt veniva considerato dagli investitori un PORTO SICURO in cui rifugiarsi. Leggete (per credere) http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-11-24/porti-sicuri-bund-superato-230541.shtml?uuid=AavyaQOE  E’ sufficiente andare nel sito www.eurotlx.com e vedere i prezzi di emissioni dei vari Gilt; se prendiamo ad esempio il Gilt codice isin GB00B3KJDS62 GRAN BRETAGNA 09/39 TITOLO CON CEDOLE TF 4.25% GBP troviamo che è stato emesso nel marzo 2009 con prima cedola 07/09/2009 e scadenza il 07/09/2039; il prezzo d’emissione è stato 96,12 ed il tasso fisso 4,25 %.  Volete sapere il controvalore circolante? Più di 19 MILIARDI di sterline!

3)      ci saremmo aspettati una crescita esponenziale degli interessi sul Pil; sempre consultando il database dell’Eurosat, considerando la voce “Interessi in % sul Pil” troviamo i seguenti dati per l’Inghilterra (tra parentesi il corrispondente dato italiano): anno 2006 2 % (4,6 % per l’Italia); anno 2007 2,2 % (4,9 % per l’Italia); anno 2008 2,2 % (5,1 % per l’Italia); anno 2009 1,9 % (4,6 % per l’Italia); anno 2010 2,9% (4,5 % per l’Italia); anno 2011 3,3 % (4,8 % per l’Italia); anno 2012 3 % (5,4 % per l’Italia); anno 2013 3 % (5,1 % per l’Italia);  appare pertanto evidente che tale crescita esponenziale della spesa per interessi sul Pil non vi sia stata per l’Inghilterra, neppure nei momenti in cui la sterlina si svalutava significativamente nei confronti dell’euro / dollaro né tanto meno quando il governo inglese spendeva  per importi consistenti a deficit (ovvero più di quanto incassava);

4)      ci saremmo aspettati uno spaventoso aumento dei tassi di disoccupazione in Inghilterra: sempre attingendo al sito dell’ Eurostat, troviamo i seguenti dati relativi al tasso di disoccupazione in Inghilterra (tra parentesi il rispettivo dato in Italia):  anno 2008 5,6 % ( 6,7 % per l’Italia); anno 2009 7,6 % (7,8 % per l’Italia); anno 2010 7,8 %  (8,4 % per l’Italia); anno 2011 8,00 % (8,4 % per l’Italia); anno 2012 7,9 % (10,7 % per l’Italia); anno 2013 7,5 % (12,2 % per l’Italia).

5)      ci saremmo aspettati  un drastico calo del tasso di crescita reale del Pil; in realtà  i dati del database dell’Eurostat fanno apparire una situazione migliore rispetto a quella italiana, precisamente: anno 2008 – 0,8 % (- 1,2 % per l’Italia), anno 2009 – 5,2 % (contro il – 5,5 % per l’Italia; tanto per avere una visuale più ampia, nel 2009 la “virtuosa” Germania aveva segnato un – 5,1 %);  anno 2010 + 1,7 % ( come l’Italia); anno 2011 + 1,1 % (contro il + 0,4 % per l’Italia); anno 2012  + 0,3 % (contro il – 2,4 % per l’Italia); anno 2013 + 1,7 % (contro il – 1,9 % per l’Italia);

6)      ci saremmo aspettati una drastica diminuzione della domanda interna dell’Inghilterra visto che i cittadini inglesi, più poveri,  per forza di cose avrebbero dovuto spendere poco; sempre ricorrendo al sito dell’Eurostat, e guardando come indicatore la variazione percentuale rispetto al periodo precedente della “Domestic Demand” troviamo: anno 2008 –1,5 % (contro – 1,2 % dell’ Italia); anno 2009 – 5,9 % ( – 4,4 % dell’Italia); anno 2010 + 2,1 % (dato analogo a quello italiano); anno 2011 – 0,1 % (-1,00 % dell’Italia); anno 2012 + 1,2 % (- 5,00 % dell’Italia); anno 2013 1,8 % (- 2,7 % per l’Italia);

7)      ci saremmo aspettati una drastica diminuzione del reddito nazionale lordo disponibile, ovvero dei redditi di cui la Nazione può disporre per consumi e risparmi; interrogando il database Ameco, precisamente la voce “Gross national disposable income per head of population” ovvero “Reddito nazionale lordo disponibile pro capite” verifichiamo i seguenti dati (i valori sono espressi in euro / 1.000 e tra parentesi vi sono i relativi valori per l’Italia): anno 2007: 34,3 (25,9 per l’Italia); anno 2008: 30,3 (25,8 per l’Italia); anno 2009: 25,8 (24,9 per l’Italia); anno 2010: 27,7 (25,3 per l’Italia); anno 2011: 28,2 (25,6 per l’Italia); anno 2012: 29,7 (25,3 per l’Italia); anno 2013: 28,8 (25,1 per l’Italia).

 

Potrei andare ancora avanti ma mi fermo qui: i database esistono ed il loro accesso è libero e gratuito; imparate pertanto ad utilizzarli.

Buona ricerca,

 

Michele Belluco 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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