«È sciocco ma ancor più umiliante che Vladimir Luxuria, nella sua disavventura russa sia stato paragonato al caso dei due marò, cosa che mi lascia totalmente basita e più che altro inorridita dell’accostamento in quanto si tratta di casi totalmente differenti. Aggiungerei inoltre che sono stanca io stessa di venir sempre paragonata al caso dei militari italiani. Sia io che Vladimir infatti non abbiamo nulla da spartire con questi due individui, noi eravamo in missione di pace, Vladimir poi, che conosco bene, è persona di pace e andava semplicemente a far valere dei diritti che in quel paese ancora mancano, i tanto decantati marò invece sono due assassini che devono ancora essere giudicati per un reato grave di cui l’Italia, colpevolmente, non vuole farsi carico. È vergognoso che due virtuali delinquenti ci vengano affiancati in maniera così ossessiva».
Tali parole sono state riportate ossessivamente da testate online e riportate dalle cronache che, per bocca di Sgrena, smentiscono tali affermazioni. Tuttavia preme riportare la posizione di Sgrena, questa senz’altro accreditabile alle sue labbra: «Il caso dei marò è di estrema gravità perché sancisce il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata (…). Siamo pronti a considerare danno collaterale la morte di due pescatori indiani disarmati e senza nessuna velleità piratesca». Il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di essere un pirata: non è plausibile trarre da queste parole il medesimo concetto che qualche fabbricatore di bufale vorrebbe esprimere dicendo che S. ha definito i marò “assassini”?
Chi uccide non è forse un assassino? Una cosa è certa: da tali parole traspare il fatto che Sgrena non avrebbe (o avrebbe avuto, nel caso la sua posizione sia cambiata) alcuna remora nel ritenere i marò colpevoli dei fatti imputati dall’accusa indiana.