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Eliminazione del contante e crociata contro l’evasione: Conte dichiara guerra alla classe media

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Le ultime dichiarazioni del premier Giuseppe Conte tracciano indelebilmente l’ideologia di politica economica del nuovo esecutivo giallofucsia (o giallo ravanello per dirla alla Rizzo).

L’evasione fiscale è la maggiore iniquità in un sistema collettivo. Bisogna intervenire radicalmente come mai è stato fatto. Stiamo lavorando a un provvedimento complessivo. Questo significa che se riterremo una misura del genere percorribile, io chiedo un patto con tutti gli italiani onesti. Accettare quella che potrà sembrare una misura nuova, perché poi pagheremo tutti meno.

Queste le parole del Primo Ministro a margine dell’Assemblea dell’Onu. In questo contenitore di poche parole, Conte ha racchiuso tutto. In tre righe si può facilmente decifrare la visione del mondo, l’interpretazione dei rapporti sociali e la lettura della realtà di un’alleanza, quella tra Pd e 5 Stelle, che, formalmente sembra inaccettabile, ma sostanzialmente si regge sulla condivisione di valori comuni.

Non c’è infatti nessun dubbio

secondo il Governo Conte bis il problema principale del mondo e della società italiana è l’evasione fiscale. La soluzione? Pagare tutti di più per un primo periodo, per poi pagare tutti di meno in seguito. Un mantra che non è nuovo alle orecchie degli italiani, ancora scioccati dalla profezia di Romano Prodi, secondo cui con l’euro “avremmo lavorato un giorno in meno, guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più”.

Niente di nuovo sotto il Sole della sinistra italiana quindi. La soluzione presentata da Conte come novità assoluta rappresenta in realtà la continuità più banale di una politica economica uguale a se stessa da trent’anni. Senza nemmeno scavare troppo non è difficile ripercorrere i primi passi della Seconda Repubblica, nata appunto sull’ingenua convinzione che l’esilio di una classe politica corrotta, quella della Prima Repubblica, avrebbe aperto le porte ad una crescita economica senza fine.

Allo stesso tempo la fine della Prima Repubblica, ha segnato l’inizio delle politiche di privatizzazioni degli enti pubblici, sotto la bandiera della lotta contro gli sprechi di denaro statale.

Tangentopoli ha segnato l’inizio dell’epoca delle privatizzazioni

Insomma la lotta mistica alla corruzione all’evasione

è un evergreen costante dell’ultimo trentennio e l’amara constatazione che tale strategia non solo abbia lasciato le cose immutate, ma abbia contribuito al deterioramento delle condizioni sociali, dovrebbe portare ad una maggiore riflessione di questo concetto. Descrivere l’evasione come “peggiore iniquità di un sistema collettivo” significa pensare allo Stato come se fosse una semplice azienda, con partita doppia, dove le voci in entrata devono corrispondere a quelle in uscita e il bilancio deve essere sempre positivo.

Con questa idea in testa è naturale che l’evasione rappresenti un enorme ostacolo per il raggiungimento del surplus di bilancio dello Stato. Peccato che, mettendo la lotta all’evasione in cima all’agenda politica, tutti i partiti di Governo della Seconda Repubblica non abbiano fatto altro che contribuire al deterioramento del potere d’acquisto della classe media italiana.

A parole infatti si predica una guerra ai grandi evasori

Nei fatti, i pochi mezzi in dotazione dello Stato e la scarsa volontà di intaccare equilibri di potere, si è sempre finiti per aggredire la micro evasione del ceto medio (distrutto da una tassazione soffocante) e lasciare a piede libero la grande evasione. Quella delle multinazionali e delle grandi aziende private.

Si pensi per esempio ai grandi giganti del web, tra cui Airbnb, Uber, Amazon, Facebook e Google, che nonostante i fatturati plurimiliardari, continuano a godere di un regime di tassazione ben al di sotto del 10%. Emblematico che tra le parole del premier non vi sia traccia di riferimento alcuno verso questi soggetti.

Si pensi poi alle grandi aziende italiane che, pur non rientrando propriamente nella categoria di “evasori”, ricadono sicuramente sotto l’etichetta di “responsabili di iniquità del sistema collettivo”, per usare le parole di Conte. Vi è per esempio quell’azienda automobilistica italiana, con sede fiscale in Olanda, che dopo aver goduto degli aiuti di Stato per lustri, ora si diletta in delocalizzazioni e tagli al personale, con ricadute sociali di inaudita gravità. Cosi come vi è quell’azienda veneta che dopo aver beneficiato dell’acquisto di larga parte delle infrastrutture stradali italiane, sembrerebbe non averne curato la sicurezza, pur aumentando i pedaggi, causando il decesso di qualche decina di cittadini italiani. Se parliamo di iniquità del sistema collettivo saremmo scorretti a non far riferimento ad episodi simili.

Il Ponte Morandi dopo la tragedia dell’agosto 2018

Eppure la strategia del Conte bis sembra tracciata

Eliminare il contante per vincere definitivamente l’evasione. Si prenda in questo caso come esempio uno dei tanti mercati rionali che animano le nostre città. Un luogo dove vi è ancora la possibilità di contatto umano tra fornitore e cliente, dove i prodotti sono visibili e dove c’è ancora spazio per la contrattazione. Tali luoghi, motore non solo della vendita al dettaglio ma di centinaia di migliaia di micro imprese famigliari, difficilmente si potranno adattare all’eliminazione del contante.

A beneficiarne sarà ovviamente l’ipermercato, magari di proprietà straniera, del quartiere limitrofo che, tra l’altro, sta lentamente sostituendo il personale umano con le inquietanti casse automatiche. Insomma da strumento contro l’evasione, il denaro elettronico rischia di diventare il cianuro della classe media italiana.

Le parole di Conte segnano dunque uno spartiacque netto. Oggi al potere c’è una precisa visione del mondo e la classe media rischia di recitare la parte della carne da macello.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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