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OPEC taglia ancora la produzione, ma gli USA se ne fregano

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Il cartello dei Paesi esportatori di petrolio, OPEC, è in un vicolo cieco. C’è chi ancora crede che possedere ingenti risorse di petrolio sia una fortuna incredibile per un Paese. Si tratta invero di somari di economia che si esprimono a ragli piuttosto che con un raziocinio che dovrebbe contraddistinguere la nostra specie.

Un altro taglio alla produzione del greggio

I Paesi dell’OPEC hanno deciso di prolungare di altri nove mesi il taglio della produzione del greggio. Una decisione che rivela il fallimento di un piano già iniziato nel novembre 2016. Già allora i Paesi del cartello si erano accordati per ridurre di 1,2 milioni di barili la produzione giornaliera di greggio. Una decisione drastica per “tirare su” il prezzo almeno oltre i 50$ al barile. Una miseria se comparato con il massimo storico raggiunto nel 2008, quando il mercato registrò i 145$ dollari a barile. Dunque la decisione dei Paesi OPEC di ridurre la produzione avrebbe dovuto sulla carta ridare ossigeno al prezzo. E invece no.

I prezzi non aumentano

Ancora oggi infatti si registrano cali del 5% sui prezzi. Scrive Bloomberg che con questo andazzo il prezzo potrebbe scendere addirittura fino ai 40$ al barile. Una tragedia per i Paesi la cui economia dipende interamente dal petrolio. Purtroppo però c’è ancora chi raglia su colpe inesistenti di Paesi come Venezuela, Iraq e Iran che sfrutterebbero “male” un così grande dono naturale. Questi ciuchi leggono poco e male le notizie che contano. Sempre Bloomberg riportava oggi come il mercato del petrolio americano sia tutt’altro che intenzionato ad allinearsi alla politica di riduzione della produzione. Anzi. In un grafico proposto sullo stesso portale d’informazione si vede come il livello di produzione del greggio americano sia arrivato a un massimo storico di 5877,74 barili al giorno. Una frenetica attività estrattiva riuscita grazie alla tecnica del fracking, ovvero fratturazione idraulica.

La scorrettezza degli Stati Uniti

Una modalità d’estrazione che, come riportava la BBC, è riconosciuta come ambientalmente invasiva e non sostenibile. Al fracking si affianca inoltre la strategia politica di Trump, che non vuole ridurre la produzione del petrolio per non causare perdite sul mercato del lavoro americano. Bloomberg però avverte che “la crescita prevista dalle principali aziende petrolifere US appare esile e non riuscirà a sostenere un così basso prezzo del petrolio”. In particolare Bloomberg indica come punto 0 dell’economia del greggio il raggiungimento dei 40$ al barile. Quel prezzo sarà la fine, non solo per gli OPEC, ma anche per le piccole aziende del greggio americane, quelle che operano nel Texas.

Guerra economica agli esportatori del petrolio

Risulta poi interessante vedere il filo che lega il petrolio alla geopolitica. In quanto il basso prezzo del petrolio sta distruggendo Paesi esportatori come Venezuela, Iran e Russia. Guarda caso proprio tre Paesi su cui si sta concentrando la pressione diplomatica americana. Giusto la scorsa settimana gli Stati Uniti hanno dato il via alla più grande esercitazione militare nelle coste caraibiche, a poche miglia dalla costa venezuelana. Mentre in Medio Oriente l’isolamento del Qatar incrementava le pressioni sull’Iran da parte dell’Arabia Saudita e appunto degli Stati Uniti. Distruzione economica di un Paese per preparare un regime change. Una storia già vista in Iraq, guarda caso il Paese con le più ingenti risorse petrolifere della regione.

Conviene dunque osservare e conoscere il mercato del greggio per evitare di ragliare assurdità e giudizi spicci sui Paesi che hanno non la fortuna, bensì la sfortuna di avere l’oro nero in casa.

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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