In un recente discorso pronunciato agli studenti di un liceo in visita al Quirinale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha attaccato ferocemente l’evasione fiscale, benedicendo cosi l’operato del Governo in carica.
di Gabriele Tebaldi
L’evasione è “indecente” e “ci sono tante persone che sfruttano le tasse che pagano gli altri per i servizi di cui ci si avvale”, questi alcuni concetti espressi dal Capo delle forze armate che possono essere sovrapposti, senza troppi problemi, sulle ripetute dichiarazioni del Primo Ministro Giuseppe Conte rispetto agli evasori, da noi commentate in questo articolo. È importante precisare come “la lotta all’evasione”, cosi come è stata presentata dal premier e benedetta dal Presidente della Repubblica, lungi dall’essere una crociata politicamente neutrale, rappresenta invece una precisa visione del mondo e del ruolo dello Stato in particolare.
Credere che l’istituzione statale possa fornire o meno i servizi essenziali alla popolazione in base alla quantità di tasse raccolte in giro è un’idea prettamente liberista, secondo cui la politica economica di uno Stato si debba reggere sugli stessi criteri che regolano un’azienda privata: ovvero quelli della partita doppia. Ad ogni spesa deve quindi corrispondere un’entrata uguale o superiore. L’ideologia liberista, che pare essere cosi appoggiata con leggerezza dal Presidente Mattarella, pone in secondo piano alcuni aspetti macroeconomici, invece imprescindibili per il funzionamento della macchina statale.
Tra questi vi è sicuramente l’aspetto della produzione nazionale come, forse, unico vero fattore di ricchezza di uno Stato. Basterebbe guardarsi un po’ intorno nel mondo per comprendere come gli Stati più avanzati non sono quelli dove “tutti pagano le tasse”, ma sono quelli dove si producono bene e meglio i servizi essenziali per il benessere dei cittadini.
Se per esempio uno Stato
e le aziende nazionali rinunciano alla proprietà di settori strategici dell’economia, ecco che lo stesso Stato sarà costretto ad importare il bene non più a sua disposizione indebitandosi e sottraendo, in questo caso si, risorse destinabili ad altri settori come la sanità e l’educazione. Un circolo dannoso riscontrabile nella maggior parte delle economie dell’Africa subsahariana, dove gli indici di sviluppo umano sono notoriamente tra i più bassi al mondo.
In sostanza, le disponibilità economiche di uno Stato provengono principalmente dalla salute della sua economia reale. Le tasse in tutto questo sistema dovrebbero funzionare come regolatore del tasso di inflazione e nulla di più. Eppure nella narrativa di Mattarella, cosi come in quella di Conte, l’evasione appare quasi come l’unica e principale causa del declino economico del Paese. Un ragionamento che appare ancor più enigmatico se si osserva invece l’alone di silenzio riservato all’elusione fiscale. Ovvero a quell’atteggiamento che caratterizza tipicamente le grandi aziende e multinazionali che trasferiscono la loro sede fiscale al di fuori dei confini nazionali, delocalizzano la produzione scaricando i rischi d’impresa sulla collettività, oppure sfruttano le lacune legislative (come i giganti del web).
Tale fenomeno in termini di quantità finanziaria reale sottratta allo Stato eccede di gran lunga l’evasione del piccolo commerciante, a meno che non si voglia paragonare il giro di affari di Google a quello del ferramenta sotto casa.
Eppure è emblematico come l’elusione fiscale
venga citata dallo stesso Cottarelli in un articolo di oggi su La Stampa, ma in una posizione del tutto marginale rispetto all’evasione, come se fosse un problema secondario, quando invece, recentemente, lo stesso Fisco italiano ha imputato a Fiat l’elusione di oltre un miliardo di euro per il trasferimento delle sede fuori dai confini nazionali. Una cifra enorme che coinvolge un solo soggetto e che per giunta non tiene conto della delocalizzazione della produzione e dell’impatto che questa ha avuto sul tessuto economico e sociale dello Stato.
Non è tuttavia casuale che Mattarella stigmatizzi l’evasione del verduriere, dell’artigiano o del dentista in luogo dell’elusione di colossi dal fatturato miliardario. Il Presidente della Repubblica deve essersi infatti accorto che in questo secondo gruppo si trovano gli unici sopravvissuti tra i suoi estimatori, come confermato dalla standing ovation riservata all’inquilino del Quirinale durante la prima del Teatro La Scala.
Prezzo minimo d’ingresso: sopra i mille euro.
Nel teatro milanese non erano presenti umili evasori, bensì grandi elusori del fisco e delle leggi dello Stato italiano, che da parte loro hanno giustamente applaudito chi ne sta difendendo gli interessi nelle sedi che contano.
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