Con il sì del Senato è stata appena approvata la “legge sulla povertà“, come si è affrettato a cinguettare il premier Gentiloni. In quest’era del politically correct è indicativo come non si sia riusciti a trovare un altro modo per definire, ancorché gergalmente, ma da parte di istituzioni e grandi media, questo provvedimento. E’ un’ammissione che le istituzioni considerino “poveri” gli economicamente instabili.
Povertà materiale non dovrebbe poter essere identificata, perlomeno dal legislatore, o dalla grande testata editoriale, come povertà. Ci sono tanti tipi povertà, ma l’unica che non è necessariamente povertà è quella di chi cava farfalle dal portafogli.
“Si compie oggi un passo storico“
è stato il commento del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti.
“Per la prima volta il nostro Paese si dota di uno strumento nazionale e strutturale di contrasto alla povertà – il reddito di inclusione (REI) – che ci consente di introdurre progressivamente una misura universale fondata sull’esistenza di una condizione di bisogno economico e non più sull’appartenenza a particolari categorie (anziani, disoccupati, disabili, genitori soli, eccetera)”.
Poletti annunciato come le le risorse stanziate per questo istituto siano di 2 miliardi di euro per il 2017 ed altrettanti per il 2018, con i quali si potranno sarà possibile dare un concreto aiuto a circa due milioni di persone.