I compiti a casa
Il rifiuto da parte degli stati europei di aiutare l’Italia con la fornitura di nuove mascherine è un brutto segno.
Ci dice che la solidarietà, quella minima che ci dovrebbe essere tra stati amici, non c’è, e se c’è mai stata è ora svanita. Ognuno deve pensare per sé, servendosi delle proprie risorse. Qualcosa di simile si era già verificato quattro anni fa, quando Gentiloni, in qualità di Presidente del Consiglio, chiese aiuto a Emanuel Macron per la gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Anche in quel caso ci fu un rifiuto, e questo nonostante la Francia, con i bombardamenti in Libia e con l’opera di destabilizzazione perpetrata dai suoi servizi segreti, fosse stata tra i principali attori politici ad aver provocato la crisi nel Mediterraneo nei primi anni dieci.
Ai mancati aiuti si aggiunge poi tutta una serie di umiliazioni con la retorica dei “compiti a casa“, che l’Italia avrebbe dovuto svolgere per poter finalmente essere accettata dai paesi “grandi”, come Francia e Germania. I compiti sono stati fatti, anche se ogni volta, dopo ogni consegna, veniva ripetuto dalla governance europea che non bastavano, occorreva fare di più, perché la dose di austerità era stata troppo poca. Ora ci troviamo di fronte all bel risultato di 37 miliardi di euro di tagli nella sanità operati per fare i compiti, senza poi poter godere di alcuna solidarietà.
Una stampa gonza e vigliacca ha avallato queste politiche.
Del resto, spariti i partiti politici (quelli che ci sono ora sono rottami), giornali e siti di informazione, controllati da gruppi di potere economico-finanziari italiani e non, ne hanno preso il posto, assumendosi il compito pedagogico di mediazione tra società e politica. È stata portata avanti una vera e propria opera di educazione al liberismo e all’autodeligittimazione nazionale per giustificare la ragionevolezza dei mercati e del vincolo esterno. I tagli alla salute, alla scuola e ai servizi sono stati così accettati come un’amara necessità da realizzare senza far troppe storie.
Tale operazione pedagogica ha d’altra parte potuto contare sulla quinta colonna rappresentata dall’intellettualità di sinistra e dalla sinistra radicale.
Quest’ultima, attraverso un’operazione di autodistruzione totale, ha continuato a sostenere la chiacchiera anarcoide dell’autoattivazione dal basso, del moralismo e del politically correct. I vari partiti che la componevano hanno addirittura finito per assumere il linguaggio del padrone, facendo propri termini come “disintermediazione”, “sovranismo” o “potere destituente”, che non è altro che un modo infelice di intendere l’ideologia ultraliberista dello stato minimo.
La crisi prodotta dal coronavirus sta portando alla luce tutta la debolezza di questo impianto ideologico.
Mostra la necessità della presenza dello stato. Non solo, essa è rivelatrice della necessità di una democrazia non più solo formale, ma sostanziale, animata cioè da gruppi politici in grado di elaborare una visione del mondo e una strategia per restituire al paese un ruolo strategico e un’autonomia che lo metta al riparo dalla feroce e sleale competizione tra stati europei. L’Italia deve in altri termini svolgere l’unico compito che si è rifiutata di fare, ovvero quello di diventare un paese adulto, in cui le sciocchezze sulla fine dello stato nazione – a cui nel mondo non crede nessuno, a parte qualche accademico con il sedere al calduccio – e del vincolo esterno sono finalmente abbandonate.
Paolo Desogus