Il 22 maggio l’Argentina ha dichiarato di non essere più in grado di ripagare i propri debiti, determinando così il nono Default per il paese.
In economia, per Default si intende l’incapacità materiale di un debitore di rispettare le clausole contrattuali del debito stipulato con un creditore. Quando sentiamo parlare di Default a livello “statale”, come in questo caso, ci si riferisce al fatto che un paese incorre in una condizione di insolvenza sovrana, cioè non riesce a ripagare completamente il proprio debito pubblico nei confronti di chi, parte di quel debito, lo ha acquistato.
Naturalmente una situazione del genere fa cadere in ginocchio un paese, degradandolo a una condizione finanziaria di fallimento e provocando effetti gravissimi sul piano sociale: uno stato in Default non sarà più capace di fronteggiare adeguatamente tutte le spese per i propri cittadini in termini di stipendi, pensioni e ammortizzatori sociali (aiuti come i sussidi di disoccupazione).
L’Argentina conosce fin troppo bene questa situazione. Con un elevato debito pubblico che si trascina da decenni e che oggi ammonta al 90% del PIL e con un’inflazione del 40% (tra le più alte al mondo) e un terzo della popolazione a rischio povertà, in queste settimane ha dichiarato il suo nono Default nella storia.
Ma perché il Default Argentino dovrebbe interessarci?
Sebbene l’Argentina si trovi dall’altra parte del mondo e questa crisi finanziaria ci possa sembrare un problema altrui ben lontano dal lederci, questa Bancarotta potrebbe avere conseguenze serie anche sull’Italia. L’ultimo Default del paese era stato nel 2001 e aveva causato lacrime amare per molti risparmiatori italiani che avevano nel proprio portafoglio i Tango bond (i titoli di stato argentini che corrispondono ai Bot e Btp italiani).
Quando uno stato si trova in una condizione di deficit pubblico (le uscite sono superiori delle entrate), per ammortizzare il problema, emette sul mercato queste obbligazioni che possono essere acquistate da chiunque. Chi acquista titoli di stato del debito pubblico diventa automaticamente creditore nei confronti dello Stato che è così obbligato a restituire a tutti i risparmiatori il capitale investito e gli interessi previsti per quella somma di denaro.
Quando diciannove anni fa l’Argentina si mosse in questo senso, furono ben 450.000 cittadini italiani che all’epoca investirono circa 14.5 miliardi di dollari, pari a 12,8 miliardi di euro nei suoi titoli di stato. E quando il paese dichiarò la bancarotta, e quindi l’impossibilità di ripagare i creditori, quei 450.000 di italiani rimasero coinvolti del dramma.
La reazione dei mercati
E adesso, dopo il nuovo Default di questi giorni, il problema serio si sta ripresentando. Questa volta sono 50mila i risparmiatori italiani ad aver investito sui Tango bond negli ultimi anni, con il rischio di rimetterci caro. Certo, il numero di italiani coinvolti è sicuramente inferiore rispetto a diciannove anni fa, ma le conseguenze potrebbero non essere meno preoccupanti considerando che l’Italia riversa in una situazione economica al limite del controllo e anche uno stop finanziario marginale potrebbe risultare pericoloso.
Negli ultimi mesi il nostro paese, con un deficit al 3,9% e un debito di 1.900 miliardi di euro, è considerato un “sorvegliato speciale” da Bruxelles e, sebbene sia opinione di molti che non si stia tenendo conto dell’economia reale italiana (il nostro tessuto industriale, il nostro apparato manifatturiero e la discreta solidità delle nostre banche), la precarietà dei nostri risparmiatori e delle nostre imprese fa preoccupare.
Ieri infatti, lo spread ha sfondato la quota dei 450 punti e il rendimento del 6,3% avvicinandosi alla soglia del 7%, registrando così il nuovo record assoluto del differenziale di rendimento tra i Btp e i Bund dalla nascita dell’euro. Lo spread è un elemento fondamentale per i mercati, è come una sorta di termometro che misura la salute finanziaria di ogni paese: presa la Germania come lo Stato più affidabile, lo spread indica quanti più interessi deve pagare un paese per piazzare i propri titoli.
Quello che i dati spread evidenziano attualmente è che l’Italia ha perso la fiducia dei mercati. La domanda dei bond sta diminuendo drasticamente e i compratori richiedono rendimenti più alti nel momento della compravendita per assumersi il rischio. In parole semplici, si sta innescando una spirale che porta sempre di più l’italia a venire ritenuta come l’anello debole dell’euro e sui mercati dei titoli di Stato.
L’accordo Argentina-Italia
Per attuire le possibili ripercussioni del Default Argentino sull’Italia è stato pochi giorni fa stipulato un accordo preliminare tra il governo e le task force delle banche (in rappresentanza degli investitori), il quale prevede il pagamento in contanti di 1,35 miliardi di dollari da parte dell’Argentina (anche se la richiesta iniziale era di 2,5 dollari).
Commenta Nicola Stock, presidente della task force argentina:
“Siamo lieti di vedere questa vicenda concludersi in maniera tale da portare ad una risoluzione equa delle richieste degli obbligazionisti italiani”
Nella realtà però, seppur si tratti di un accordo che dovrebbe risarcire (in parte) anche i danni causati nel 2001, è ben lontano da adempiere a questo scopo pecuniario. Senza contare, inoltre, che manca ancora l’approvazione da parte del parlamento argentino. In buona sintesi, anche questa volta i risparmiatori italiani rischiano di rimetterci caro e nonostante ciò, questo scenario sembra non aver ottenenuto la giusta importanza e risonanza mediatica. Come spesso accade, determinati problemi ci vengono fatti percepire come distanti per mere ragioni geografiche, in totale disinteresse di una regola elementare dei nostri tempi: la finanza non conosce confini.