Il discorso di Di Maio all’uscita dal colloquio con Mattarella merita qualche considerazione di dettaglio.
di Andrea Zhok
Dal punto di vista della posizione generale, si tratta di un posizionamento ineccepibile: il M5S ha la maggioranza alle Camere e spetta a loro essere propositivi; inoltre invocare le urne dopo poco più di un anno di governo è in effetti una soluzione estrema e deresponsabilizzante. Dunque l’idea di proporre ‘a chi ci sta’ alcuni punti programmatici fermi è un atteggiamento corretto e intelligente.
Sul piano concreto però le questioni che si aprono sono due: a chi si rivolgono quei punti? Qual è il loro concreto contenuto?
In linea di principio Di Maio
si rivolge a chiunque ci stia, dunque tanto alla Lega che al Pd.
Tuttavia le condizioni per un rientro in gioco della Lega sono politicamente impercorribili: dopo quanto è avvenuto c’è un’incompatibilità conclamata tra Salvini, personalmente, e qualunque collocazione nel governo, perciò una riconciliazione dovrebbe avere come precondizione un passo indietro del leader della Lega.
Si tratterebbe di una capitolazione grave che anche personaggi con un ego meno ipertrofico di Salvini farebbero difficoltà ad accettare. Dunque non sembra una strada realisticamente accessibile.
Che questa strada sia impercorribile è però una disdetta, perché continuano ad esistere settori della Lega che pongono il fondamentale tema dei rapporti con l’Ue e della sovranità nazionale, temi che apparentemente, a vedere i 10 punti, si eclissano dall’orizzonte pentastellato.
Ma vediamo quali sono questi 10 punti
Sono stati nominati nell’ordine:
1) Il taglio del numero dei parlamentari;
2) Una manovra equa, con stop all’aumento dell’Iva, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, sburocratizzazione, sostegno alle famiglie, alle nascite, alla disabilità e all’emergenza abitativa;
3) Avvio di una conversione ecologica del paese insistendo sulle rinnovabili;
4) Una legge sul conflitto di interessi e una riforma della Rai;
5) Dimezzare i tempi della giustizia e riforma del metodo di elezione del Csm;
6) Autonomia differenziata e riforma degli enti locali;
7) Legalità, carcere ai grandi evasori, lotta a evasione e traffici illeciti;
8) Un piano straordinario di investimenti per il Sud;
9) Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimenti dalle banche commerciali;
10) Tutela dei beni comuni, scuola, acqua pubblica, sanità, revisione concessioni autostradali.
Si tratta, com’è evidente, di un programma di legislatura, e non di una serie di punti mirati e circoscritti, da svolgere in un tempo definito.
L’impressione
è che siano punti scritti avendo già in mente il Pd come interlocutore privilegiato, e tuttavia vengono messe in campo alcune riforme che sembra difficile siano accettabili da parte del Pd: in particolare 1) il taglio dei parlamentari, 4) la riforma della Rai, e 5) quella della giustizia.
Sono però anche punti che possono facilmente ottenere un plauso popolare, e dunque che mettono in difficoltà il Pd ad opporre un rifiuto.
Ciò che lascia immensamente perplessi
però è un punto che c’è, ed un punto che manca.
Al punto 6 si ribadisce la questione dell’autonomia differenziata. E’ difficile comprendere per quale motivo compaia questa voce.
Al Pd non sta terribilmente a cuore, anche se potrebbero sostenere una versione soft sul modello Emilia-Romagna.
Quanto al M5S, per l’elettorato prevalente del Centro-Sud, suo bacino principale, il regionalismo differenziato rappresenta più una minaccia che una promessa. E allora perché menzionarla? Per lasciare la porta aperta a una Lega desalvinizzata?
Francamente poco comprensibile.
E poi, naturalmente, c’è il convitato di pietra, su cui non si spende una parola, ovvero i rapporti con l’Ue.
Considerando che i punti 2, 3, 8 e in parte 10 richiedono una barca di soldi, come si pensa di ottenere i margini per fare quelle cose senza affrontare di petto la questione dei rapporti con l’Ue, dunque senza tematizzare almeno la richiesta di margini per un rilancio anticiclico di medio periodo?
Nella cornice attualmente predisposta
a livello europeo quei punti rimangono un libro dei sogni, per mancanza di fondi.
Si pensa di giocare allo stesso gioco delle tre carte del Pd, che mette al primo posto la lealtà all’Ue, per poi tirare giù proposte che nella cornice europea attuale sono del tutto irrealizzabili?
In sintesi, ci sembra che il discorso di Di Maio sia tatticamente intelligente, perché posiziona il M5S in modo appropriato e lascia agli interlocutori la responsabilità di prendere decisioni.
Se però non è semplicemente un programma fatto per essere respinto, allora si tratta di un programma velleitario in alcuni punti, e dannoso in altri (1 e 6 nello specifico).
Il fondato timore
è che se il M5S va ad un esecutivo di legislatura col Pd su questa base solo due scenari siano possibili:
o ci si adegua al ‘realismo’ piddino, che significa in buona sostanza non fare niente che non sia a costo zero, e dunque continuare nella gestione fallimentare degli ultimi tre decenni;
oppure si va allo scontro con l’europeismo Pd, giungendo in tempi brevi ad un redde rationem e ad una caduta rovinosa del governo.
Non vedo come questo esito non finisca per aprire ad un trionfo Lega-Fdi in 6-12 mesi.
Spero che gli amici del M5S mi stupiscano con effetti speciali, ma al momento facciamo davvero molta fatica a vedere come se ne possa uscire bene da un tentativo di governo di legislatura, sulla base di quei punti, col Pd.