Un annoso problema per tutti i Paesi del mondo, ivi compresi quelli ad economia avanzata, è sempre stato rappresentato dalla povertà. Comprenderne le origini, capirne le fattezze, elaborare delle soluzioni.
Autore: Gilberto Trombetta
Considerando le soluzioni proposte ed attuate, figlie dell’ideologia piuttosto che della realtà, i passi avanti in questo senso non si sono visti: sicuramente, non secondo le possibilità che esisterebbero di metterli in essere. Infatti, al tramonto dell’anno 2019, «Cosa serve veramente per contrastare la povertà?» si è chiesto il Corriere della Sera.
Qualche buona idea, a dire il vero, ci sarebbe: tuttavia, l’evidente difficoltà nel comprendere la realtà che li circonda – da parte delle penne della stampa dominante -, rende quanto mai necessario dar loro una mano. Dal punto di vista teorico e dal punto di vista pratico.
Per contrastare davvero la povertà servono lavoro e salari dignitosi. Talmente tanto lavoro che dovrebbero essere le imprese a competere per i lavoratori e non il contrario. E come si aumenta l’offerta di lavoro ed i salari in una crisi pluridecennale di domanda come quella dell’Italia? Aumentando la spesa pubblica come se non ci fosse un domani! Con investimenti e milioni di assunzioni.
Perché in Italia, la verità è che ci sarebbe lavoro da fare per le prossime 10 generazioni. Almeno. Infatti, il Paese è più spaccato che mai tra Nord e Sud.
Mentre in Italia il finanziamento pubblico al trasporto ferroviario, già largamente insufficiente per una buona parte del Paese, soprattutto al Sud, è stato ridotto tra il 2009 e il 2018 del 20,4%: in Cina nello stesso lasso di tempo lanciavano il progetto dell’alta velocità.
E così mentre fino a una decina di anni fa praticamente l’alta velocità era assente, oggi la Cina ha 30.000 chilometri di rete di alta velocità. Per percorrere la distanza tra Hong Kong e Pechino ci vogliono 8 ore e 56 minuti. È la stessa distanza che intercorre tra Bruxelles e Atene. Solo che in Europa ci vogliono 44 ore per percorrerla in treno.
L’alta velocità tra Pechino e Shanghai unisce le due città più velocemente dell’aereo ed inquinando molto di meno. È quotata in borsa e vale più di Microsoft. Eppure l’intero sistema ferroviario cinese è un buco nero: 29 milioni di perdite nel primo quadrimestre di quest’anno e 750 miliardi di debiti in tutto.
È un problema? Ma ovviamente no, perché la posta in gioco è molto più alta e importante: unire un Paese intero, la Cina, che è uscito dalla povertà ma non ancora ovunque allo stesso modo.
E ancora, sempre guardando all’Italia ed alla Cina, mentre noi abbiamo svenduto un modello invidiato e studiato da tutti al mondo, l’IRI, per entrare nell’Unione Europea, il resto del mondo, Cina in primis, cresceva e andava avanti proprio grazie all’intervento dello Stato nell’economia e ad una forte programmazione centralizzata.
Come il piano Made in China 2025, lanciato solo nel 2015, e che ha lo scopo di rendere il mercato cinese indipendente dalle importazioni entro il 2025 nei settori giudicati tecnologicamente strategici per il futuro:
- nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT);
- macchine a controllo numerico (MCN) e la robotica;
- equipaggiamenti aeronautici ed aereospaziali;
- attrezzature di ingegneria marittima e fabbricazione di navi ad altissima tecnologia;
- equipaggiamento ferroviario avanzato;
- veicoli a risparmio energetico;
- miglioramento delle capacità energetiche degli impianti industriali e del Paese;
- nuovi materiali;
- biotecnologie e dispositivi medici ad alte prestazioni;
- macchine e attrezzature agricole.
Come? Ma con una valanga di investimenti pubblici ovviamente! Più di 200 miliardi di euro di investimenti in 10 anni per permettere all’industria cinese di sostituire quella straniera.
E in Italia?
In Italia sono più di 30 anni che la classe politica di tutto per impoverire la popolazione e far tornare indietro il Paese: deindustrializzazione selvaggia – soprattutto da parte dello Stato con la svendita dell’IRI -; quasi 3 decenni di avanzi primari; distruzione sistematica della domanda interna; agganci valutari deleteri per il nostro export e, quindi, per la nostra economia; ricerca ossessiva, quasi patologica, del vincolo esterno.
Ecco, alle penne del Corriere della Sera qualche consiglio su come sconfiggere la povertà è importante poterlo dare. Si potrebbe, per esempio, noi che nell’ultimo decennio i poveri li abbiamo fatti triplicare, prendere il buon esempio da chi nello stesso lasso di tempo ha invece tirato fuori dalla povertà un numero inimmaginabile di persone.
Si scoprirebbe così che non hanno fatto niente di particolarmente diverso da quello che per tanti anni anche l’Italia ha fatto. Si scoprirebbe così che per sconfiggere la povertà basterebbe fare l’esatto opposto di quello che è stato fatto negli ultimi decenni. Si scoprirebbe così che, in fondo, ma neanche troppo, quelli che ce la stanno facendo sono quelli che a noi si sono ispirati. All’Italia migliore, ovviamente, non a quella di oggi.
Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni
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