Il numero di contagiati da Coronavirus in Italia è quasi arrivato a 3mila e, giustamente, tutti gli Stati del mondo, chi più chi meno, stanno prendendo provvedimenti per limitare e controllare l’arrivo di italiani.
di Gabriele Tebaldi
Una lezione per l’Italia che per rimanere nei binari del “politically correct”, ma anche per un’ossessiva attenzione ai decimali del Pil, ha deciso fatalmente negli scorsi mesi di non adottare severi controlli per l’ingresso entro i confini.
Il Kuwait
uno Stato che consta a malapena 4 milioni di abitanti, ha per esempio deciso di interrompere il rilascio di visti per italiani che volessero viaggiare nel Paese.
La stessa strategia del Kuwait è stata adottata dal lontanissimo Turkmenistan, non di certo meta abituale per turisti e viaggiatori italiani, ma non certo un Paese dotato di politici così sprovveduti da lasciare le frontiere aperte con una simile emergenza.
Analoga decisione è stata presa dall’India
Paese considerato in via di sviluppo, ma che in realtà sembra organizzarsi senza lasciare spazio all’improvvisazione.
Ancor più puntigliose sembrano poi esser le Autorità indonesiane visto che hanno disposto, a partire dalla mezzanotte dell’8 marzo, il divieto di ingresso e transito nel Paese per tutti coloro che, nei 14 giorni precedenti il viaggio, abbiano visitato Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Piemonte. Un controllo specifico e dettagliato che non lascia nulla al caso.
In Bielorussia sono talmente avanti che, per chi arriva da zone a rischio come l’Italia, viene immediatamente sottoposto al tampone all’arrivo. Se negativo, può continuare la vacanza o il viaggio tranquillamente. Se positivo viene gentilmente invitato a restare in isolamento.
L’ingresso per gli italiani
sembra poi ormai pressoché impossibile in Turchia, Israele, ma anche negli Stati Uniti e perfino in Corea del sud e Cina. Questi ultimi, Paesi che hanno un numero di contagiati più alto del nostro, ma dato che si trovano attualmente in una fase di contenimento del virus, non hanno intenzione di farsi contagiare dall’esterno.
Tutta questa premura nel tutelare la salute nazionale non dovrebbe stupirci. Si tratta di norme semplicemente dettate dal buon senso. Invitare ad una quarantena volontaria i viaggiatori che arrivavano dalla Cina, anche con scali e tratte terze, nel periodo immediatamente dopo l’allarme lanciato da Pechino, non sarebbe stata una norma “razzista”, ma più che giustificata. Avrebbe forse fatto scendere il Pil di qualche zero virgola, per buona pace dei burocrati europei che, per giustificare il loro stipendio, devono pubblicare ossessivamente previsioni sull’andamento dell’economia.
E invece, per non essere tacciati di razzismo e per compiacere l’economista o il Presidente di Confindustria di turno, ci siamo tirati la zappa sui piedi. E ora tutti si comportano come avremmo dovuto fare noi da un paio di mesi.