Dopo mesi passati ad ironizzare – talvolta legittimamente – sulla ripetizione ossessivo-compulsiva dello slogan “parlateci di Bibbiano”, la stampa italiana si è trincerata all’improvviso dietro un impenetrabile silenzio: proprio nel momento in cui la Procura di Reggio Emilia ha chiuso le sue indagini con un bilancio di 26 indagati e 108 capi d’imputazione. Insomma, proprio nel momento in cui sarebbe opportuno parlarne davvero.
di Giuseppe Masala
Lascia davvero stupefatti la copertura dei giornali nazionali sul caso Bibbiano. Sia Corriere che Repubblica, che il Fatto, che la Stampa si focalizzano sulla divulgazione delle motivazioni del provvedimento della Corte di Cassazione di due mesi fa che annullava le misure cautelari a carico del sindaco di Bibbiano, ponendo in secondo piano la chiusura delle indagini della Procura di Reggio Emilia.
Una roba da nulla con 26 indagati (tra i quali lo stesso sindaco) per complessivi 108 capi d’imputazione, tra i quali i seguenti: violenza o minaccia a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia, lesioni dolose gravissime e violenza privata, peculato d’uso, abuso d’ufficio, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, falso ideologico, tentata estorsione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode processuale, depistaggio o frode in processo penale, rilevazione di segreti in ordine a processo penale.
Capi di imputazione sostenuti peraltro da intercettazioni, chat, testimonianze, perizie calligrafiche (necessarie per dimostrare che i disegni dei bambini con i quali poi erano stati messi sotto accusa i genitori erano stati manomessi) e anche da ammissioni di colpa di una indagata che ha intrapreso la strada del patteggiamento della pena.
E per la nostra grande stampa tutto questo non conta. Conta dire che la Cassazione ha rilevato la caduta delle esigenze cautelari per un indagato senza peraltro entrare nel merito delle accuse.
Per la nostra grande stampa ciò che conta è troncare e sopire, come diceva il Conte Zio, di manzoniana memoria.