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TORINO – La strampalata gestione delle licenze per gli esercizi commerciali torinesi ha prodotto enormi storture nel tessuto economico locale. Interi quartieri sono stati appaltati all’immigrazine nordafricana e cinese, trasformando zone storiche come San Salvario e Porta Palazzo in veri e propri ghetti a cielo aperto. Per questo motivo ci sarebbero già numerosi punti interrogativi da sollevare, inerenti soprattutto il perché sindaci come Castellani e Chiamparino abbiano cancesso ad occhi chiusi numeri così sproporzionati di licenze a kebabbari et similia, creando un enorme sperequazione con gli imprenditori alimentari italiani e i commercianti del settore.
A Ferragosto tale disparità è ancora più evidente: Torino è deserta, è incolore ed insapore. Tranne ovviamente quell’olezzo di carne speziata mista a salsa bianca. Non ci sono pizzerie o ristoranti aperti; nel capoluogo sabaudo il frugale pasto di Ferragosto dovrà essere consumato con un arrotolato in mano. O addirittura con un involtino primavera made in China. Anche durante l’anno la situazione non cambia, dato che gelatai e pizzerie tendono a chiudere baracche e burattini non dopo l’una di notte, mentre ai loro colleghi d’oltre Mediterraneo è concesso di rimanere aperti all night long.
Inutile dunque lamentarsi se l’economia italiana va a rotoli, quando già da un piccolo centro cittadino vengono intraprese strategie d’azione completamente sballate, che non tengono in minimo conto lo sviluppo dell’economia nazionale, che si appoggia su schemi lavorativi derivanti dalle battaglie sociali, anche quelle dei sindacati di una volta. Bisogna mettersi in testa che il settore pubblico deve essere parte attiva nella salvaguardia delle nostre attività, in quella che è diventata a tutti gli effetti una guerra economica internazionale.
