Studiano molto e lavorano poco. E quando diventano mamme ad accoglierle ci sono demansionamento, mobbing e discriminazioni. Il problema della maternità in Italia è enorme e inaccettabile.
Secondo il Global Gender Report in Italia l’università è frequentata per il 58% da donne e per il 42% da uomini. All’ingresso del mondo del lavoro però le proporzioni si ribaltano. Nella fascia di età 20-64 anni le donne sono il 20% in meno rispetto agli uomini. E dopo un faticoso percorso di autodeterminazione sul posto di lavoro, comunicare una gravidanza al datore di lavoro è fonte d’ansia per le donne italiane.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio nazionale mobbing, in Italia tra il 2013 e il 2015 sono state licenziate o costrette a dimettersi 350 mila donne a causa delle discriminazioni per via della maternità o per richieste che tendevano a conciliare il lavoro con le esigenze famigliari. A causa del mobbing post-partum 4 donne su 10 sono state spinte a lasciare il proprio impiego.
La conciliazione tra lavoro e maternità avviene soltanto sulla carta
Il decreto legislativo 151/2001 tutela le donne in gravidanza e tutti i diritti della maternità. Quando però si torna sul posto di lavoro la solidarietà è scarsa e il ruolo che faticosamente ci si era conquistati lo svolge qualcun altro. Non solo si ha davanti una nuova lotta per la riaffermazione delle proprie capacità, ma anche lo scontro con le nuove incombenze familiari che secondo il modello di welfare “familistico” italiano vengono scaricate sulle famiglie.
Gender Gap
La famiglia che non trova il sostegno da parte dello stato – infrastrutture e servizi accessibili economicamente per la l’accudimento dei bambini – si trova a dover decidere chi si occuperà dei figli. E dato che il divario distributivo di genere in Italia è pari al 23,7% è desumibile quale dei due stipendi converrà preferire. In tutto questo l’emergenza sanitaria in corso ha peggiorato le cose poiché, senza il sostegno di nonni, zii e parenti e asili e scuole chiuse, la conciliazione tra lavoro e famiglia risulta essere piuttosto problematica.
Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento delle statistiche sociali dell’Istat e pioniera delle statistiche di genere afferma che le donne non possono più essere il pilastro del nostro sistema di welfare:
“Non possono sostituirsi come prima all’attività dei servizi sociali e sanitari. Non ne hanno più il tempo. Vogliono lavorare, vogliono realizzarsi su tutti i piani. Vogliono avere i figli che oggi non riescono ad avere, ma che desiderano. Vogliono anche valorizzarsi sul lavoro. E se la politica non riuscirà a capire che questa è una priorità essenziale per il rilancio del nostro Paese, si allontanerà sempre più inesorabilmente dai bisogni delle donne e del Paese”.