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Destra e sinistra sono morte: ha ragione Gaber

Foto catalogo museo fischietto in terracotta Rutigliano Bari

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“È evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra… Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra. Fare il bagno nella vasca è di destra, far la doccia invece è di sinistra. Un pacchetto di Marlboro è di destra,
di contrabbando è di sinistra. Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra… Se la cioccolata svizzera è di destra la Nutella è ancora di sinistra… Il pensiero liberale è di destra, ora è buono anche per la sinistra… È il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché con la scusa di un contrasto che non c’è. Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Basta!”.

(Destra Sinistra, Giorgio Gaber).

La canzone è del 1994. Gaber si rendeva conto, ma la questione era nata molto prima, che destra e sinistra erano due categorie che non esistevano più e che dividersi su esse era lasciato a dettagli inconsistenti se non ridicoli.

di Massimo Fini

Destra e sinistra sono due ideologie nate con l’Illuminismo che cercò di razionalizzare quel grande evento epocale nato in Inghilterra a metà del XVIII secolo, la Rivoluzione industriale, che ha cambiato radicalmente le nostre vite e che a sua volta è preceduta dalla rivoluzione scientifica e, in modo più profondo, dall’avvento del mercante come forte e rispettata classe sociale, mentre fino ad allora il mercate occupava l’ultimo gradino nella gerarchia dei valori.

Destra e sinistra hanno quindi un’origine comune e molti tratti in comune. Sono entrambe positiviste, progressiste, ottimiste, moderniste, economiciste, entrambe hanno il mito del lavoro (per Marx è “l’essenza del valore”, per i liberisti è esattamente quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso “plusvalore”), sono industrialismi che pensano che l’industria e la tecnica creeranno una tale cornucopia di beni da dare la felicità a tutti (Marx) o, più realisticamente per i liberisti, al maggior numero di uomini.

Fin qui ciò che hanno in comune. Divergono profondamente, invece, sul modo di produrre e soprattutto di distribuire la ricchezza.

Per semplificare le cose

è lo scontro in atto dalla metà del XVIII secolo fra capitalismo e, al suo estremo opposto, il comunismo nelle sue varie declinazioni. Io vedo capitalismo e marxismo come due arcate di un ponte che per secoli si sono sostenute a vicenda.

Ma il crollo del marxismo prelude, rifacendoci all’immagine del ponte, a quello del capitalismo per la mancanza di opposizione e di limiti. Come scrivo ne Il Ribelle dalla A alla Z: “Se il comunismo è vittima del suo insuccesso, il capitalismo lo è del suo successo”. Ma per ora il capitalismo è pienamente in sella.

Tutto il mondo oggi è organizzato secondo il libero mercato, che è l’essenza stessa del capitalismo. Anche paesi totalitari, come ad esempio la Cina, sono a libero mercato sia all’interno che all’esterno. E dove c’è il libero mercato non ci può essere comunismo o fascismo se non nella loro forma più deteriore che è quella della dittatura e della cancellazione di ogni libertà civile.

Anche la ricerca della famosa “terza via”

cioè di una composizione fra liberismo e diritti civili, su cui le sinistre storiche si sono divise mille volte, non ha dato risultato, perché dove c’è libero mercato non ci può essere quell’uguaglianza che è forse l’obiettivo principale del pensiero di Marx.

Per la verità una soluzione, almeno teorica, ci sarebbe e si chiama socialismo, che cerca di coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili. Ma quel che resta del socialismo è combattuto in tutto il mondo dal capitalismo occidentale imperante e viene bollato come dittatura anche quando dittatura non è, come nel caso del socialismo bolivariano preso in mano in Venezuela da Chávez e poi da Maduro, o da Lula in Brasile, fatto fuori con un pretesto risibile (è chiaro che Bolsonaro è molto più funzionale) o la Serbia di Milosevic che aveva il gravissimo torto di essere rimasto l’ultimo paese socialcomunista d’Europa.

Destra e sinistra, cioè le ideologie, hanno avuto anche, per molto tempo, un’importante funzione psicologica. Hanno sostituito laicamente il vuoto lasciato dalla “morte di Dio” e più in generale del sacro, che l’Illuminismo, come ha scritto benissimo Nietzsche, aveva consumato. Ma a due secoli e mezzo di distanza possiamo dire, con amarezza, che questa utopia bifronte ha fallito.

Oggi l’uomo è stato spossessato di se stesso dall’Economia, il cui tono non è più nemmeno industriale ma finanziario, dalla Tecnologia, dalla Scienza, idoli cui bisogna sacrificare senza obiezioni. Siamo tutti omologati.

Destra e sinistra, categorie di cui non si può negare l’importanza storica, oggi son divenute obsolete perché non sono in grado di intercettare le esigenze più profonde dell’uomo contemporaneo, occidentale, che, al di là delle apparenze, non sono economiche ma esistenziali. Vale il distico di Gaber “la passione, l’ossessione della tua diversità, dove è andata non si sa”.

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