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Bella ciao inno del 25 aprile: l’ennesima trovata di marketing della sinistra

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Il genio del marketing politico non smette di animare le fervide menti della “sinistra” italica.
Ogni giorno un cittadino si sveglia e sa che dovrà battersi tra lavori infami, pendolarismi e precarietà , nel tentativo di arrivare a fine mese.

di Andrea Zhok

E ogni giorno un rappresentante della “sinistra” si sveglia e sa che dovrà battersi per inventare una soluzione di marketing che convinca quel cittadino che la “sinistra” esiste ancora e lotta con lui.

Ed è così che è stata formulata una proposta da parte di Pd-M5S-Leu-Iv per cui per legge si chiede che Bella Ciao “venga eseguita ogni 25 aprile, dopo l’inno di Mameli, in tutte le cerimonie ufficiali per la Festa della Liberazione”.

Ora, in primo luogo, imporre una veste istituzionale a una canzone che, nonostante i tentativi di appropriazione più indecorosi (do you remember Gualtieri?) ha ancora una qualche vitalità ideale è il modo sicuro per affossarla e renderla definitivamente una salma mummificata.

In secondo luogo, questa proposta ha un sottotesto

ed è il seguente: “l’Inno nazionale, in quanto nazionale, non è davvero rappresentativo della Liberazione.” Ad esso bisognerebbe aggiungere come ‘correttivo ideologico’ una canzone identificata come eminentemente resistenziale, una sorta di inno vicario, in una specie di veltroniano “sì, ma anche”, che dovrebbe correggere un ‘inno Nazionale’ (che in quanto tale non può che essere una roba di destra, no?)

Ora, questa operazione esprime una mentalità caratteristica.

Da un lato, come detto, una mentalità tutta devota alla dimensione simbolica, sovrastrutturale, espressiva ed estetica della vita politica. Siccome la struttura economica c’ha il pilota automatico (e anche se non ce l’avesse, a noi va bene così), non ci resta che esprimere il nostro ingegno su correttivi semiotici: bandiere, stemmini, gagliardetti, inni, paroline politicamente corrette, ecc.

Dall’altro lato c’è l’idea, non meno caratteristica

di procedere sempre sistematicamente per frazionamenti progressivi. Il senso dell’Inno Nazionale (a prescindere dai suoi valori estetici, magari discutibili) sta nell’essere un’espressione di unità.
Nel volerlo essere.

Contrapporvi un viceinno significa rivendicare un’ulteriore rappresentanza, che per ciò stesso viene dichiarata mancante nel primo inno.
Si crea così una simpatica spaccatura: c’è l’inno nazionale e poi, diverso e separato, il canto resistenziale.
E che dire, una spaccatura è proprio una boccata d’aria fresca in questo paese che soffre di un panorama asfitticamente monotono e unitario, no?

Ma a questo punto perché fermarsi a due?

Perché non aggiungere l’inno di Giustizia e Libertà?
E poi perché non quello delle Brigate ebraiche?

Vorremmo mica negare il valore di quei contributi alla Liberazione?

Con un po’ di ingegno potremmo avviare uno splendido processo, uno di quelli che ci piacciono tanto a sinistra, di scissione a catena in un tripudio di rivendicazioni particolari.

Ecco, grazie per averci ricordato una volta di più che per voi la storia d’Italia che conta finisce nel 1945, e che dopo funziona il pilota automatico, mentre voi vi occupate di commemorazioni, celebrazioni, decorazioni e battaglie di retroguardia.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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