Home / L'Elzeviro / Cinema italiano: non ci resta che…piangere?

Cinema italiano: non ci resta che…piangere?

Condividi quest'articolo su -->

Il cinema italiano da diversi anni sembra avere imboccato la strada della recessione e di una crisi lenta ma inesorabile di idee, e di mezzi.

Nonostante le trionfali esternazioni di molti addetti ai lavori, la forza reale dell?intero movimento cinematografico italiano la vediamo nelle occasioni che contano ovvero nella notte degli Oscar o al festival di Cannes dove il nostro cinema continua ad esercitare un ruolo meramente secondario se non di contorno.

Il cinema americano o comunque straniero fa la parte del leone mentre noi modestamente ci limitiamo a fare le comparse con alcune dovute eccezioni come il premio alla carriera dato a Federico Fellini. Cerchiamo di capire le ragioni di una situazione così desolante con i nostri attori bravi a fare la?voce grossa tra le mura amiche ma molto meno quando si tratta di andare a confrontarsi con i mostri sacri anglo americani.

A giudizio di chi scrive in primis continua a mancare in Italia un ente formativo degno di questo nome paragonabile in qualche modo a quello americano. Se togliamo la scuola di arte drammatica di Roma, valida ma ancora legata ai vecchi schemi legati ad una recitazione neo realista, nel resto del nostro paese la formazione nel campo della recitazione è lasciata ad una miriade di scuole, scuolette soprattutto teatrali che cercano solo di sbarcare il lunario dando qualche rudimento recitativo ai futuri attori che pieni di speranza affollano le loro aule.

Da qui alla professionalità vera e propria il passo è tutt?altro che breve. Tra l?altro, vi si insegnano principalmente tecniche recitative teatrali e non cinematografiche che sono tra loro ben differenti. Un altro motivo è a nostro giudizio l?atavico attaccamento del nostro cinema ai vecchi schemi dell?ormai decotto neorealismo italiano, un neorealismo da sempre diviso nelle sue due sottospecie prinicpali: da una parte la commedia all?italiana, nella quale siamo stati e siamo anche bravi e forse anche più che bravi, e dall?altra il melodramma strappalacrime in cui francamente continuiamo con colpevole e stucchevole pervicacia a cimentarci, incapaci di guardare al di là del nostro naso.

In tutti questi anni, al di là di alcuni lodevoli esempi di “fughe in avanti” da parte dei vari Bertolucci (l?Ultimo imperatore) Zeffirelli, Dario Argento per quanto riguarda il filone thriller-horror, Pupi Avati, Ermanno Olmi, non siamo mai riusciti ad uscire dal nostro solito orticello fatto di piagnistei sulla miseria italiana, di denunce sociali, di ormai stucchevoli e noiose prese di posizione contro le ingiustizie sociali, la mafia e quant?altro.

Per la carità nel cinema ci sta anche l?analisi della realtà sociale, del costume e di tutto quello che ne è collegato, ma quando da ottant?anni si continua a cavalcare sempre e solo l?argomento sociale senza avere il coraggio di provare almeno a sondare altri campi come quello del cinema di evasione, di quello storico, di fantascienza, del thriller, e via dicendo, vuol dire che forse, , oltre alla paura atavica di quello che colpevolmente si continua a non voler conoscere, c?è anche un condizionamento ideologico di fondo.

Ci piacerebbe sapere chi ha stabilito che il nostro cinema non può essere anche cinema di ricostruzione storica, oppure cinema poliziesco ad ampio respiro e non limitato al solito e ormai banale giallo con implicazioni che affondano nel sociale o nella commedia quasi parodistica come nel commissario Montalbano. Il thriller horror di qualità ha avuto, oltre a qualche altra lodevole eccezione, vedi Pupi Avati, come unico massimo mentore e realizzatore Dario Argento che però ormai sembra un po? accusare l?usura di tanti anni di carriera.

Poi più niente, il vuoto. Non parliamo del filone fantascientifico, totalmente inesistente. Qualcuno dirà che si tratta di tradizioni che non ci appartengono. Un?affermazione che sembra più una comoda giustificazione a posteriori che non una reale asserzione basata su dati di fatto, una tradizione non nostra perché con una grossa dose di colpa, non l?abbiamo mai voluta sviluppare. Nel nostro cinema a differenza del cinema americano, se non in qualche misura con la commedia all?italiana che è comunque pur sempre commedia di denuncia, non esiste assolutamente il cinema di evasione, un cinema che voglia semplicemente divertire la gente, senza pensare ad indottrinarla con mielensi e vetusti richiami alla vita reale.

Basti vedere gli incassi nei botteghini nei nostri cinema dei tanto bistrattati filmoni americani per rendersi conto che il pubblico vuole anche qualche cosa d?altro e quel qualcosa sembra darglielo solo il cinema d?outremer. Per carità qualcuno storcerà pure il naso, ma sono film che piacciono e che siamo in grado di fare anche noi quando beninteso ne abbiamo voglia: vedi I cavalieri che fecero l?impresa, guarda caso di Pupi Avati, e Il mestiere della armi di Ermanno Olmi, film che hanno saputo unire l?interesse storico per il passato all?esigenza di un intelligente intrattenimento di evasione.

Ma si sa, noi difficilmente, se facciamo un film storico, andiamo oltre e più indietro del periodo risorgimentale, nella solita tradizione dell?insegnamento della storia attento al sociale con il neorealismo che continua a farla da padrone.

di Roberto Crudelini

Condividi quest'articolo su -->

Di Redazione Elzeviro.eu

--> Redazione

Cerca ancora

Normativa sul Green Pass: quando la certezza del diritto va a farsi benedire

E` caos tamponi e green pass: milioni di cittadini lasciati a sé stessi Da sempre …