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Il futuro è già qui

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Palandrana chiara, babbucce, cappellino calcato sul capo e una folta e lunghissima barba scura. L’abbigliamento del Sahara. Non siamo però sulle sabbie dorate del più grande deserto del mondo, bensì in corso Regina Margherita, a Torino. Nella zona di Porta Palazzo, il mercato più grande del continente, gli italiani si sono ritratti abbandonando il luogo e lasciando palazzi otto-novecenteschi alla non troppo amichevole convivenza di arabi e cinesi. Tale luogo viene oggi visitato da italiani affascinati che vi girano come turisti. I cinesi, che sono tanti, come al solito non si vedono, mentre gli arabi, sempre fermi sul controviale di corso Regina a far nulla o a vendere hashish, colonizzano la zona, col loro fare spocchioso e irritante. Quando attraversano la strada, sul controviale, con una lentezza rimarchevole e naturalmente studiata, ben lontani dalle strisce pedonali, sembra a chi sta tentando di varcare la zona in automobile di vedere, allampanati nel buio della sera, danzanti lenzuoli sporchi: ed infatti si tratta di ciondolanti palandrane (segno di una certa importanza del personaggio), uomini presuntuosi e sprezzanti delle regole, sciabattanti  e con galoppino al seguito. Ma c’è anche gente che lavora in settimana, nel grande mercato di Porta Palazzo, sono i pochi reduci dell’avamposto maghrebino, schiacciati dai modi di fare autoritari di questi inquilini. La domenica pomeriggio c’è proprio il mercato degli arabi, in un cantuccio della piazza e senza alcuna autorizzazione, che vende robacce stese su un telo: si va dai computer ai vestiti firmati, fino agli alimenti. Sfidiamo noi a comprare del cibo nel già glorioso mercato, salvo che dalle bancarelle fisse e regolari. Comprare dagli arabi del pane, magari il celebre pane arabo ha un prezzo: il disprezzo delle più elementari norme igieniche. In una situazione di completa illegalità è naturale che i controlli sanitari non si abbozzino neppure: è consuetudine vedere infatti, per i frequentatori del luogo, grosse ciabatte di pane appoggiate per terra o in cassette aperte anch’esse appoggiate sul suolo della piazza. I commercianti rimasti sono disperati, mentre crescono i venditori fissi, nei palazzi antistanti la piazza, di narghilé, ma anche le macellerie equine, spesso con cartelli in arabo e senza la (obbligatoria) scritta in italiano. Sembra che l’opera di colonizzazione sia ad un passo dal compimento.

Nella vicinissima Francia vi sono ormai più moschee che chiese e nei pressi di Porta Palazzo vengono puntualmente sacrificati animali in modo barbaro per le festività coraniche. Rassegnarsi appare l’unica via, quando istituzioni e (gran parte dei) giovani trovano esotico e bellissimo recarsi a Porta Palazzo, uno storico angolo d’Italia oggi considerato un esotico angolo di Maghreb. Quando un popolo si dà delle regole e le fa rispettare con rigore inflessibile solo a chi su quel suolo ci è nato e a quel suolo appartiene da generazioni, mentre si fanno troppe pavide eccezioni per occupanti subdoli e spesso con intenti malcelati e infami; quando al posto di una colonizzazione e perdita di tradizione si vuole vedere un piacevole espandersi di “ambienti esotici”, o, come si usa dire, multiculturali, senza che nessuno si preoccupi delle scritte sui muri e delle insegne in lingue sconosciute, delle frasi che esaltano il bruciare i Centri d’identificazione ed espulsione, dei colli che si girano di fronte allo spaccio indisturbato, nulla c’è da fare. Nessuna intolleranza è dato tenere, solo rassegnazione. In un paese dove (premessa mai piacevole) chi professa l’odio e lo sterminio degli omosessuali viene accolto a braccia aperte dagli omosessuali stessi, dove l’obiettivo di molti immigrati è il convertire all’Islam la popolazione anche se ciò dovesse passare da una congiunzione carnale con le donne europee, tutte puttane ovviamente, i profeti dell’odio avranno sempre la meglio. Il futuro è già qui. 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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