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Torino sostenibile

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Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo, predicava la Grande anima. Farlo nella vita iperconurbata della metropoli, tuttavia, è complicato e si corre il rischio concreto di passare per coglioni. Ad esempio sarebbe bello, la mattina, prima di andare al lavoro, ricevere un sorriso dal giornalaio, o da un barista simpatico ma non invadente, che in un’occhiata capisce se è il caso di fare una battuta oppure no. Sarebbe bello, poi, potersi recare al lavoro con la metropolitana, mentre in dieci minuti si solca la città e, nel meccanico rombare del ferro nel sottosuolo, leggere un libro che parla delle ardenti e sconsiderate azioni dell’aristocratica Aglaja Epancin e di come si sia innamorata della semplicità di un ragazzo che è considerato un idiota. Questo per poi sollevare gli occhi, incontrare lo sguardo di una vecchietta che ti sorride. O di una ragazza, e a quel punto magari trovare coraggio e intavolare una discussione che finirà in una risata, perché affrontare argomenti come l’esistenzialismo in letteratura di prima mattina è onestamente impossibile. Oppure, se il percorso non è troppo lungo e ci siamo svegliati in tempo, prendere un paio di guanti, un cappello, un maglione in più e saltare sulla bicicletta, mettere la borsa nel cestino e andare verso il luogo di lavoro su una lunga, liscia pista ciclabile sgombra da pedoni e mezzi a motore. Fermarsi di fronte al semaforo rosso anche se si è in bicicletta, un semaforo apposito per le biciclette. Parcheggiata la bicicletta, sarebbe bello legarla ad un archetto a dieci minuti dalla meta, per godersi una passeggiata ritemprante nel centro della città, pedonalizzato, dove si sente perlopiù il rumore delle scarpe e dei tintinnii delle tazzine provenienti dagli antichi caffè.

Ciò che accade è ben diverso. Vai al lavoro. Prendi un pullman sostitutivo del tram perché c’è stato qualche problema ai binari, da qualche parte sul percorso. Sarebbe un tram iperfigo che hanno deciso di fare per risparmiare sulla metropolitana. La tua città ha un milione di abitanti, ma una sola linea di metro. Valencia ne ha 200mila in meno, ma ne vanta ben nove, di linee. Pensi alla prossima vacanza in quel posto. Il bus passa: è così pieno che nemmeno in punta di piedi ci puoi entrare, ma lo fai perché non puoi permetterti di perderlo. Sei uscito all’ultimo di casa: la città è talmente inquinata che il tempo passato col naso fuori dagli edifici è proprio il caso di ridurlo ai minimi termini. Le polveri sottili sono tre volte superiori ai limiti consentiti dalla legge europea. Verremo sanzionati per il numero di volte che sforiamo, mica per la quantità di merda che c’è nell’aria, quindi i poltronari del Palazzo non si preoccupano troppo e vanno a lavoro con auto di servizio, parcheggiando un po’ dove vogliono, passando per tutte le vie che a loro garbano di più. Devi scendere due fermate prima perché un suv bianco è parcheggiato tra marciapiede e carreggiata e non permette il transito né del mezzo pubblico né della carrozzina del disabile che sta giustamente cristonando in turco (ci saranno turchi cristiani, no?). A quel punto tiri su gli occhi dal tuo smartphone dal quale hai cominciato a rispondere a e-mail di lavoro perché sei ufficialmente in ritardo, e vedi una splendida ragazza. Abbozzi un sorriso. Non ti rendi conto di essere in punta di piedi e in una posizione molto precaria, lei sì. E scende infuriata: probabilmente le mancavano più di due fermate. Una vecchietta è in piedi, giustamente incazzata. Cerchi di non incontrare il suo sguardo. Scendi: c’è il bike sharing, ma le bici sono tutte rotte e sinceramente ti fa ancora male la schiena dopo la caduta sulla pista ciclabile, quando quel camion delle consegne a domicilio ha spalancato la portiera noncurante delle biciclette. Vuoi emigrare. Forse lo farai.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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