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I Dieci Comandamenti: quando il guitto diventa predicatore

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L’altra sera ho assistito per curiosità allo spettacolo di Roberto Benigni su Rai 1 dedicato all’illustrazione e rappresentazione del libro della Bibbia dedicato ai Dieci Comandamenti. A parte il discorso sul più o meno generoso compenso dato all’attore dalla Rai alla faccia dei milioni di Italiani che dall’alto dei loro ben miseri stipendi devono sobbarcarsi anche il pagamento di una tassa non progressiva né proporzionale quale è il Canone, devo dire che mi è piaciuto poco e forse…neanche quel poco.

 

I motivi di questa mia critica, peraltro non precostituita visto che lo stesso precedente commento della Divina Commedia invece mi era garbato molto, si sono fatti ben chiari man mano che il comico toscano è andato avanti nel suo…manifesto personale e politico. Il grande equivoco di tutta la rappresentazione si è infatti disvelato quando il comico, dilungandosi nel suo racconto biblico un po’ anomalo e, diciamola tutta, anche presuntuoso, si è dimenticato di essere appunto solo e soltanto un attore interprete. Il discorso infatti è relativo alla differenza, ben chiara alla mia mente di osservatore e teleutente, tra una rivisitazione in chiave moderna e ironica dell’Antico Testamento, in funzione di intrattenimento pubblico alternativo alle solite ottuse trasmissioni nazional popolari, e la progressiva trasformazione del commentatore in predicatore con tanto di pulpito e di pubblico al seguito.

 

Insomma se il sottoscritto accetta se qualcuno, bravo e capace, cerca di farmi divertire dandomi una lettura alternativa a quella che per ovvi motivi ascolto la domenica quando vado a Messa, dall’altro lato non accetta né si fa partecipe a un simile “scempio” televisivo se il protagonista diventa qualcosa di assai diverso. E sì perché il buon Roberto, bravo quando rimane nell’alveo confortante della rivisitazione teatrale, diventa stucchevole e appunto presuntuoso quando, senza peraltro averne l’autorità morale, gioca a fare il predicatore. Di prediche ne sento già tante, spesso anche lunghe, noiose e ripetitive, durante le mie frequentazioni liturgiche della Domenica, ma di sentirne altre da parte di chi francamente si è pure auto investito a suon di soldoni omaggiati da mamma Rai, francamente mi rifiuto.

 

E sapete perché mi rifiuto? Perché il signor Benigni non ha nulla da insegnare né a me né al resto del popolo italiano perché di questo popolo, nonostante tutto, lui, come il sottoscritto e…tutti gli altri, ne fa in fondo parte riflettendone, ci perdoni, immancabilmente le caratteristiche, le debolezze e le relative imperfezioni. Insomma Benigni non è, fino a prova contraria, un inviato divino sulla terra ad annunciare il ritorno del Messia, ma un comune, comunissimo mortale che, fra l’altro, in passato, ha abbracciato non la fede cristiana di cui ora si fa in modo un po’ anomalo paladino, ma quella, diciamo così, alternativa nel Capitale di Carlo Marx.

 

Se quindi lo stesso, ad un certo punto della sua pur lodevole rivisitazione bibliofila, si “dimentica” di essere solo un guitto, un attore comico e teatrale per diventare un neo Savonarola della situazione, io non ci sto. Anche perché, a ben guardare, quando sempre lo stesso si infila in argomenti evidentemente troppo impegnativi come quello relativo al comandamento di onorare il padre e la madre e non di onorare il padre e…il padre o la madre e…la madre come una società relativista e miscredente vorrebbe imporci, finisce in modo tragicomico per farsi un bell’autogoal. Stesso discorso e stessa riflessione quando dice, in questo caso ergendosi addirittura al di sopra della stessa Chiesa, che il comandamento di non commettere atti impuri sarebbe solo frutto di una tardiva e successiva aggiunta clericale all’originario “non commettere adulterio“.

 

Il buon Roberto poi non si accorge che, quando si arrampica, senza averne, ci perdoni, le conoscenze necessarie, sull’assai scivoloso terreno della morale e del conseguente rapporto tra Dio e peccatore, dice cose che non stanno né in cielo né in terra. Infatti, confondendosi evidentemente con una frase di Cristo che dice che il peccato contro lo Spirito Santo a differenza degli altri non sarà perdonato né in questo ordine di cose né mai, ne ricava errando che invece l’unico peccato mortale che non può essere perdonato è quello dell’omicidio. E sapete perché? Perché, dal momento che l’unica persona che poteva perdonare, ovvero la vittima, è morta, colui che si è reso responsabile di tale gravissimo atto non può più essere perdonato e…allora, ci domandiamo noi, Dio cosa ci starebbe a fare?!E la possibilità del pentimento da parte del peccatore dove la mettiamo Roberto?

 

A proposito di omicidi sarebbe poi istruttivo sapere cosa ne pensa lo stesso Benigni dei milioni di vittime di quel Comunismo di cui lui si è fatto fraterno e tranquillizzante interprete nazional popolare, ci perdoni la metafora dantesca, al tempo degli…dei falsi e bugiardi. Perché il suo Dio, ci riperdoni Roberto, dopo il rovinoso crollo di muri e la conseguente liberazione da pesanti e nefande oppressioni, si è rivelato, come il buon Dante diceva riguardo a Roma, falso e bugiardo…ma questo lui nel suo discorso dell’altra sera non l’ha mai detto.

 

Morale della favola, al buon Benigni diamo un caldo e fraterno consiglio, continui a fare quello per cui è nato e che farebbe pure discretamente: ovvero recitare da un palco, ma per far questo, temiamo, dovrà provare prima a scendere dal pulpito sul quale qualcuno l’ha messo, si tratta pur sempre di una differenza di qualche metro di altezza e di questi tempi…non è poco.   

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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