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Non svilire il ballottaggio a un “voto contro”

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In molti Comuni con più di 15mila abitanti, dove vige l’elezione diretta del sindaco a doppio turno , domenica prossima si terranno i ballottaggi. Il ballottaggio, come noto, scatta quando nessuno dei candidati sindaci raggiunge la maggioranza assoluta al primo turno; vi accedono i due concorrenti che hanno ottenuto il numero maggiore di consensi alla prima tornata.

Il ballottaggio è prassi, in tutte le elezioni, comprese le presidenziali, nella vicina Francia. Lì si è formato un consolidato approccio degli elettori: al primo turno si vota il candidato più vicino ideologicamente, al secondo il meno distante (o quello che meglio, al di là della posizione ideologica, può rappresentare gli interessi della Città, del collegio o della Nazione). Specie per le elezioni parlamentari, dove non accedo solo i due migliori ma tutti quelle che abbiano superato il 12,5 degli aventi diritto al voto (non solo dei votanti), la decisione è solo marginalmente condizionata da motivi “oppositivi”. E’ frequente che questi scattino solo, in virtù del “patriottismo repubblicano”, solo per scongiurare l’elezione di esponenti del Fronte Nazionale. In questo senso, anche se riguarda le elezioni presidenziali, si può citare il caso del forte voto pro-Chirac dei socialisti in occasione del 2002, quando Jospin (candidato socialista) mancò l’obiettivo del secondo turno.
Quando non si ravveda alcuna reale vicinanza, e non ci sia in ballo il “patriottismo repubblicano”, si sa scegliere l’astensione.

Diversa la situazione nell’Italia campanilista e tifosa. Quando non sia una massiva astensione (che è comunque un’opzione politica legittima e, se consapevolmente compiuta, significativa) a decidere la sorte dei due contendenti. Nel Bel Paese, che ha incamerato al ribasso un certo andreottismo, l’ambizione di “sommare contro” diverse minoranze (senza una valutazione delle competenze specifiche e dell’interesse generale: chi vince diventa sindaco di tutti) è sempre presente.
Si possono ricordare le dichiarazioni di Ignazio La Russa al termine del secondo turno del voto amministrativo a Parma del 2012: “pur di far perdere la sinistra… avrei votato anch’io Pizzarotti”. Non proprio esempio di ponderazione degli effetti, piuttosto una reattività da Bar Sport.
Dello stesso tenore la scelta, a Novi Ligure (AL), di Forza Italia e Lega Nord, per il ballottaggio del prossimo 8 giugno. Avendo Rocchino Muliere (PD) rifiutato una “grande coalizione”, si è dato indicazione di votare l’esponente grillino giunta al secondo turno. Si potrebbe straparlare di una saldatura dei populismi, più realisticamente occorre prendere atto che, pur di non veder vincere chi è avversario o ha fatto lo sgarbo, ci si lascia andare al “tanto peggio, tanto meglio”.

In molti Comuni, anche nel torinese, si sentono retorici appelli alla discontinuità, con deliranti riferimenti a prossime e venture palingenesi, che nascondono solo le ambizioni di ridotte minoranze di sconfitti di incidere sul risultato (ma non conterebbe di più incidere sulle politiche?). Magari con l’appoggio a tranfughi di esperienza amministrative, fino a poco prima del “ludo cartaceo” avversati. La legge da uno strumento di trasparente convergenza su un candidato: l’apparentamento. Quando non si concretizza, è evidente che non c’è quella rielaborazione comune dei contenuti. Al limite, una raffazzonata e sotterranea “comunanza nell’avversione”. Nulla di particolarmente indirizzato al “bene comune”, verrebbe da dire.

Bisognerebbe, anche su questa questione, attardarsi a spiegare l’imbarbarimento della politica rappresentato dalla personalizzazione. Forse, però, è di maggior utilità richiamare quanto ha recentemente scritto Giovanni Fontana sul suo blog. “Il quadro politico – sostiene il blogger de “Il Post” – è uno spazio geometrico nel quale votiamo il partito che ci è meno lontano. Un grado di compromesso è necessario e ragionevole. Tuttavia, in una situazione nel quale il partito meno lontano è molto più vicino agli altri partiti che alle nostre posizioni, votarlo è illogico: ciò che rende quel partito migliore degli altri ci interessa molto meno di quello che lo rende diverso da noi (e più simile agli altri partiti). Se io penso 2 e i partiti che posso votare esprimono 7, 8 e 9, non ha senso votare 7, perché con il mio voto esprimerò la volontà del 7. Astenersi significa manifestare la necessità che quel partito si sposti verso il 2 o che un altro partito (anche uno nuovo) ne raccolga le istanze”.

L’astensione è più onesta di un “voto contro”. Anche se meglio sarebbe valutare saper esprime, specie alle amministrative, un voto deideologizzato e spersonalizzato.
Lo svilimento infantile del ballottaggio non è un buon servizio alla politica. Anche se lo si traveste da riedizione del “patriottismo costituzionale”.

Marco Margrita
@mc_margrita

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Di Redazione Elzeviro.eu

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