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Finisce il Carnevale…meno male!

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Siamo approdati, grazie al cielo, al martedì grasso, ultima tappa di quella che a giudizio di chi scrive rappresenta la più colossale dimostrazione di quanto la mente umana possa scendere da altezze incomparabili a brutali e infime dimostrazioni di “animalità” conclamata, con tutto il rispetto per il genere animale. Gli esempi, almeno per quel che compete il bel paese, sono sotto gli occhi di tutti con il solito incredibile ammasso di gente in quelli che sono terrificanti e drammatici imbuti di carne umana, vedi Venezia, dove, alla faccia della crisi e delle già precarie condizioni delle fondamenta architettoniche della città, centinaia di migliaia di turisti ogni giorno si ammassano come sardine in scatola su e giù per le calli della città.
 

Un peso questo anche in termini di pesantissime sollecitazioni al sistema portante dello stesso centro lagunare già ampiamente e notevolmente stressato durante l’anno dall’acqua alta e dal problema ormai cronico e sempre più critico del lento ma progressivo sfaldamento delle fondamenta. Venezia, lo sappiamo, è una città destinata, si spera il più tardi possibile, ad affondare progressivamente nell’acqua a meno di non mettere in piedi tutta una serie di provvedimenti non solo urgenti ma indispensabili per la sopravvivenza di quello che è un patrimonio dell’umanità.
 

Ebbene, come se tutto questo fosse solo frutto della fantasia di una mente malata, ogni anno non ci si preoccupa minimamente di evitare o almeno di diminuire, come logica vorrebbe, l’enorme afflusso di massa umana che si verifica nei giorni di Carnevale. Massa umana che “affligge” già normalmente la città lagunare durante l’anno a causa di un  turismo sempre più massificato che dilaga, con tutte le conseguenze nefaste del caso,  nelle sue strette vie. Come al solito la tradizione sembra prevalere incredibilmente sul buon senso. Oltre al grave problema delle fondamenta, basterebbe andare poi a verificare le condizioni in cui viene lasciata la città al termine della suddetta “buriana” per capire quanti enormi danni la festa di Arlecchino porti ai Veneziani. Danni alle strutture, sporcizia, problemi di sicurezza e ordine pubblico in quantità industriali come se la città fosse ogni volta preda di orde barbariche che bivaccano per giorni facendo tutto e il contrario di tutto.
 

Se questo è il prezzo da pagare per il rispetto della tradizione, ovviamente ci troviamo in perfetta antitesi di pensiero e invitiamo allora gli amministratori locali a non lamentarsi in futuro chiedendo sovvenzioni e aiuti dallo stato per salvare Venezia, quando alla sua fine e distruzione progressiva sono i primi a contribuire nel nome della vanità di un evento storico e della sete dei proventi derivati dal turismo. Proventi che non possono minimamente pareggiare gli enormi danni che ogni anno tale festa “drammatica”e “suicida” provoca e in termini economici e in termini paesagistico-architettonici. Ma Venezia non è l’unico esempio di paradossale e colpevole sudditanza alla tradizione, se rimaniamo sempre al nord ma questa volta andiamo ad ovest in Piemonte, e precisamente nella città di Ivrea, come Venezia governata da una giunta PD, ci rendiamo conto di come la stessa tradizione della festa mieta anche qui le sue vittime e, per una sorta di “equa giustizia”, provochi uguali danni oltre a incredibili sprechi.
 

La festa in questione, nota a molti tour operator italiani ed europei che buttano nell’enorme mischione dantesco decine di migliaia di turisti ammassati alla meno peggio nelle non larghe strade cittadine, tra le sue “attrazioni” più amate e “osannate”, vanta la cosiddetta guerra delle arance. Nulla di più che una colossale zuffa tra i cosiddetti aranceri sui carri e il foltissimo pubblico, con violentissimi scambi di arance che, nell’occasione, da utile e preziosissimo frutto, si trasformano in letali proiettili in grado di provocare nei malcapitati di turno lesioni non sempre di poco conto. Alla fine di ogni battaglia viene fuori quello che sembra, più che conseguenza di un evento folcloristico, un vero e proprio bollettino di guerra: in quest’ultima edizione, il Carnevale di Ivrea “vanta” la bellezza di circa 150 tra contusi e feriti, assistiti nelle varie tende approntate dalla Croce Rossa o in cura presso le strutture sanitarie locali, strutture pubbliche, è il caso di ricordarlo, pagate con i soldi dei contribuenti.
 

Ma non basta, stando alle stime dei carnevali passati, ad Ivrea ogni anno si distruggono  circa 600 tonnellate di arance, cifra che è andata progressivamente aumentando nelle ultime edizioni. Qualcuno si è sentito in dovere di specificare che queste arance non sono destinate al consumo e quindi il danno per l’economia non è così grave come sembrerebbe a prima vista. Su questa questione ovviamente non siamo assolutamente d’accordo: perché, comunque vada, quelle centinaia di tonnellate di arance hanno alle spalle una produzione agricola, lavoro, risorse andate in questo modo irresponsabilmente in fumo in nome  della tradizione. E poi chi l’ha detto che quelle tonnellate non avrebbero potuto essere magari inviate  in Africa per contribuire a sfamare popolazioni che un frutto non  se lo mangiano neanche una volta all’anno? O, se proprio non vogliamo andare così lontano, perché non distribuire almeno una parte di quel raccolto tra le famiglie bisognose italiane?

Chi l’ha detto che, in nome di una non ben definita tradizione, bisogna sprecare tonnellate di vitamine, sali minerali, proteine e carboidrati in una maniera così assurda? L’Italia per colpe anche di certi politici, è in braghe di tela ma sembra che la tradizione sia più importante di tutto il resto. Ma allora, scusate, se la tradizione ci dice che dobbiamo darci le martellate sui testicoli fino a farli diventare due pizze quattro stagioni, noi continuiamo a farlo felici e contenti?! Meno male quindi che il Carnevale anche quest’anno è arrivato al suo epilogo…perché se è vero che semel in anno licet insanire è altrettanto vero che ci deve pure essere un limite alla stupidità umana.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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