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Acca Larentia: “bisogna combattere senza odiare per dimostrare quanto vale il cuore”

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Non si può fermare il fiume del ricordo dell’eccidio di questi adolescenti. L’Italia sembra essersi definitivamente lasciata alle spalle quegli anni buii, nonostante le recrudescenze di terrorismo che ancora emergono e nonostante i nostri vicini greci siano investiti da una tempesta paragonabile a quella degli Anni di piombo italiani.

Oggi nelle maggiori città italiane assistiamo, a distanza di 35 anni, alla commemorazione della strage di via Acca Larentia, consumatasi il 7 gennaio del 1978. Striscioni e fiaccolate ancora trentacinque anni dopo, per ricordare tre giovanissimi morti a causa del fanatismo e dell’odio comunista. Quel giorno i ragazzi del “Fronte della Gioventù” erano intenti nella consueta attività di volantinaggio nel quartiere Tuscolano, in via Acca Larentia a Roma. I volantini sponsorizzavano un concerto da loro organizzato. Il gruppo che avrebbe dovuto esibirsi era gli “Amici del Vento”, uno dei gruppi più seguiti nell’ambiente (e non solo).

In quel periodo era sentito come una legge morale in certi ambienti lo slogan “uccidere un fascista non è reato“. In ogni dove si assisteva, da Torino a Palermo, ad esercizi paramilitari della forza, e per un niente la violenza divampava feroce. Quel giorno, appena usciti in strada, due giovani vennero colpiti dagli spari di una mitraglietta Skorpion, arma notoriamente in dotazione alle Br.

LA VICENDA DI SANGUE – Il ventenne Franco Bigonzetti morì sul colpoFrancesco Ciavatta, diciottenne, cercò di evitare l’inesorabile tentando di allontanarsi nonostante fosse ferito, ma i suoi aggressori lo raggiunsero e colpendolo alla schiena, ulteriore firma di vigliaccheria, lo uccisero. Altri tre ragazzi, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino, riuscirono a sopravvivere all’attentato. Lo sgomento, la rabbia e la disperazione si diffusero a macchia d’olio per tutta la capitale. Una folla di gente si concentrò rapidamente, gente che voleva perlopiù raccogliersi ed urlare lo sdegno e l’incredulità, in un momento di dolore.

La situazione però si scaldò a causa di un poliziotto che gettò un mozzicone sul sangue dei due ragazzi. Il clima, da rovente che era divenne violento e la Polizia sparò ad altezza d’uomo. Stefano Recchioni venne ferito alla testa e morì due giorni dopo. Qualche giorno dopo giunse -ma chi se ne importava in quel momento?- la rivendicazione da parte della sigla “Contropotere Territoriale. Intanto, il padre di Ciavatta, straziato dal dolore, si suicidò.

Per questa strage, per tutto questo giovane sangue, nessuno ha pagato. I noti sospetti sono stati assolti per insufficienza di prove. Sul cemento un fiore nero crescerà.

 

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Di Redazione Elzeviro.eu

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