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Il testamento e l’eredità: Pasolini si rivolge al ragazzo fascista

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L’ELZEVIRO – CULTURA

Da:
Marcello Veneziani “L?antinovecento”, ed.Mondadori:

“L?Italia
di oggi è distrutta esattamente come nel 1945.
Anzi,certamente la distruzione è ancora più grave, perchè non ci troviamo tra
macerie, pur strazianti, di case e monumenti, ma tra “macerie di valori”:
valori umanistici, e, quel che più importa, popolari.
“Non temere la sacralita? e i
sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini
trasformandoli in bruti e stupidi automi adoratori di feticci.”

Queste affermazioni di Pier Paolo Pasolini spiegano forse meglio di ogni
altra analisi le ragioni per le quali oggi il poeta friulano piace ad ambienti
diversi e lontani da quelli in cui militò, seppure in modo tormentato: piace in
certi ambienti culturali e giovanili di “destra”, anche se continua a
non essere amato in altri ambienti forse più propriamente di destra (…)




Se l?Italia contemporanea ha avuto un suo poeta civile, un testimone
implacabile della corruzione e dell?alienazione novecentesca, questo è Pier
Paolo Pasolini.
Egli ha rappresentato la coscienza critica dell?Italia per due ragioni
contrastanti.
Da una parte Pasolini è lo specchio, poetico e esistenziale, di un?Italia
avvilita e degradata, in preda al vuoto dei valori e all?assoluto
permissivismo; un?Italia disgregata, uscita dalla storia.
In questo quadro Pasolini è davvero il D?Annunzio della nostra epoca, il poeta
civile e l?esteta di un?Italia “malata”.
E in tanto diventa l?anti-D?Annunzio, in quanto egli è il poeta di un?Italia
che è la negazione dell?Italia dannunziana, sia nel bene (come rifiuto della
retorica e della violenza) sia nel male (come rifiuto di ogni altezza e
bellezza).
Dall?altra parte, Pasolini ha rappresentato una voce accorata di protesta
contro gli effetti devastanti del consumismo, dell?omologazione, della
corruzione politica, sociale e ambientale, un irriducibile accusatore del progressismo,
dei falsi perbenismi e della violenza di ogni tipo, un cercatore
“religioso” dell?anima arcaica, rurale e incontaminata del popolo, un
difensore di ogni diversità e di tutti gli emarginati, un implacabile
moralista, un singolare profeta del passato e delle origini.(…)
Pasolini, forse da solo tra gli intellettuali, ritenne allora che vi fosse una
omogeneità profonda fra il ?68 e i disegni stessi del capitalismo e della
rivoluzione industriale, comunista e borghese.
Che tipo di uomo vuole il nuovo potere?
si chiedeva Pasolini.

Non vuole più un buon cittadino, un
buon soldato.

Non vuole un uomo onesto, previdente,
non lo vuole tradizionalista, e nemmeno religioso.

Al posto del vecchio tipo d?uomo, il
nuovo potere vuole semplicemente un consumatore
.

Anche la Chiesa, prevedeva Pasolini, diventerà superflua.
“Come può il nuovo potere
trasformare il vecchio uomo in consumatore?

Mediante quel processo che si chiama
acculturazione: cioè riducendo e appiattendo tutti gli altri valori e le altre
culture non omogenee ai modelli di una cultura centrale, cioè di una cultura
del potere.”

L?obiettivo, secondo la sua analisi,era quello di trasformare gli uomini in
conformisti e consumatori.
Ora, notava Pasolini,il ’68 ha
praticamente aiutato il nuovo potere a distruggere quei valori di cui voleva
liberarsi: “I contestatori distruggono esattamente quel che il potere
neo-capitalistico vuole abbattere”: i legami tradizionali, religiosi,
l?attaccamento alle radici, il senso comunitario, la solidarietà con gli altri,
il senso dell?autenticità, dell?austerità, del mistero. E impongono esattamente
ciò che il neocapitalismo vuole imporre: il primato del fare, il feticismo
della roba, la proiezione totale nel futuro, il culto del progresso, la
teologia del cambiamento.(…)

Si può non condividere questa analisi, ma si deve riconoscere che quando
quei giovani si liberarono dalla sovrastruttura ideologico-politica, divennero
in effetti agenti e funzionari di quell?utilitarismo neoborghese che li ha poi
caratterizzati negli anni ’80.
Ma questo Pasolini non poté vederlo.
Non a caso molti osservatori che sarebbero stati definiti allora
“borghesi” hanno oggi positivamente rievocato il’68, ritenendolo un
fattore progressivo verso la modernizzazione e la laicizzazione del paese.(…)
Uscendo dall?oleografia e dai ritratti ufficiali, si dovrebbero scoprire le
pagine più inconsuete del poeta.
Come quelle delle poesie friulane raccolte nel volume “La nuova
gioventù”.
Qui si accentua il senso religioso del poeta attraverso il confronto con la
propria terra, la propria lingua, le proprie lacerate radici friulane.
E insieme muta sorprendentemente lo sguardo sui “fascisti”.
Già in una variante della poesia “Tornando al paese”, naturalmente
dimenticata, Pasolini scrive in friulano strane parole: “Se volessi
diventare cattolico o fascista non potrei perché ormai la campana non è più
sempre la stessa e i padri non ridono, come nei rami di pioggia, negli occhi
dei loro bambini”.
E? come se lo strazio per una tradizione che non può più “tradere”, cioè
trasmettere e continuare, gli impedisse di essere cattolico o fascista.
Ma quella tradizione interrotta è un evento doloroso, per nulla amato, e
nemmeno accettato.
Conosciamo, del resto, a quali accenti di antimodernismo e di nostalgia delle
origini giunse Pasolini nei suoi scritti polemici.
Ma è soprattutto nelle ultime poesie italofriulane, intitolate “Tetro
entusiasmo”, un?espressione tratta da Dostoevskij, che avviene in Pasolini
la svolta.
Poesie rimosse dai suoi apologeti.
Enzo Siciliano, per esempio, non cita affatto queste poesie e il libro che le
raccoglie nel pur ampio e dettagliato profilo biografico pubblicato nel
“Dizionario degli autori”.(…)
Poeticamente reazionari sono i versi che culminano con queste parole:
“Grazie a Dio si può tornare
indietro.

Anzi, si deve tornare indietro.

Anche se occorre un coraggio che
chi va avanti non conosce.”

Implacabili diventano poi i suoi versi contro un santuario allora dominante, si
era alla metà degli anni ’70, l?antifascismo.”
I vecchi antifascisti sono i veri fascisti, “scrive” che sono i
leader dell?Acculturazione e non solo toccano le anime, me se le succhiano al
Centro.
Anche in “Versi sottili come righe di pioggia” Pasolini ironizza
sull?antifascismo “gratificante e eletto”, e sul progressismo, sul laicismo,
sulla razionalità.
Dopo aver deriso, in versi precedenti, naturalmente espunti dalla memoria
ufficiale, “la paura degli intellettuali comunisti”, il loro andare
nel “branco”.
L?elogio della leggerezza “sognante” dei comunisti si ritrova in una
poesia del ’74, “Il diavolo con la madre”, ma appare in inquietante
compagnia: “Nelle case dei poveri i figli, vecchi fascisti o comunisti,
entrano piano come ladri portando l?immensità dell?aria”.
Fascisti o comunisti: un?imbarazzante intercambiabilità.
Ma la più significativa in questo senso è proprio l?ultima poesia di Pasolini,
scritta in friulano e intitolata “Saluto e augurio”.
E? rivolta a un giovane fascista: “Voglio parlare a un fascista, prima che
io, o lui, siamo troppo lontani” scrive quasi presago della fine
imminente.
Dice di amare i suoi capelli corti (Pasolini detestava i capelloni che
imperversavano in quegli anni tra i ranghi dei suoi compagni).
Il ragazzo fascista, dice Pasolini, “vuol difendere il latino e il greco
contro di me”, ma “non sa quanto io ami il greco e il latino”.
Poi gli rivolge parole inattese: “Vieni qua, Fedro” dice Pasolini
evocando il personaggio del dialogo platonico, il “Simposio”,
dedicato all?Amore “ascolta.
Voglio farti un discorso che sembra un testamento.
“Parola che non lascia indifferenti, se si considera che è davvero la sua
ultima espressione poetica.
Rimprovera al ragazzo di non avere
un cuore libero, ma poi lo invita a difendere le vigne, i fichi negli orti, i
casali, il capo tosato dei suoi camerati, le campagne, la confidenza col sole e
con la pioggia.

E lo esorta a continuare a sognare
perché “la Destra divina è dentro di noi, nel sonno”.

Odia quelli che
vogliono svegliarsi, e dimenticarsi delle Pasque.
“Lo invita poi ad amare i poveri, la loro diversità, a non essere
borghese, ma santo e soldato, anche se “santo senza ignoranza” e
“soldato senza violenza”.
E gli indica un compito: “Difendi,
conserva, prega.”

Un precetto da “reazionario”.
“Prenditi tu sulle spalle
questo fardello” dice Pasolini al fascista “io non posso: nessuno ne
capirebbe lo scandalo.”

Un vecchio, aggiunge Pasolini, ha
rispetto del mondo; invece un giovane, come il fascista, può prendere sulle
spalle questo peso.

C?è probabilmente il gusto pasoliniano dello scandalo, l?assoluta inettitudine
del poeta a vedere la realtà,e forse persino l?attenzione amorosa di un
omosessuale verso un giovane dai capelli corti che esibisce la sua mascolinità.
Ma non c?è solo questo.
Ed è ben strano che Pasolini rivolga il suo testamento a un fascista, “tu
ragazzo che mi odii”, e che a lui, e non a un compagno, affidi il suo
“fardello”.
Un fardello in cui c?è l?essenza di Pasolini: il pauperismo ma anche la difesa
della tradizione, delle radici, dell?ambiente, della religione (“difendi,
conserva, prega”).
Quella stessa essenza che emergeva in un?altra sua poesia in lingua italiana
“Un solo rudere”, in cui scriveva:

“Io sono una forza del
Passato. 


Solo nella tradizione è il mio
amore. 


Vengo dai ruderi, dalle Chiese, 


dalle pale d’altare, dai borghi 


dimenticati sugli Appennini o le
Prealpi, 


dove sono vissuti i fratelli. 


Giro per la Tuscolana come un
pazzo, 


per l’Appia come un cane senza
padrone. 


O guardo i crepuscoli, le mattine 


su Roma, sulla Ciociaria, sul
mondo, 


come i primi atti della Dopostoria, 


cui io sussisto, per privilegio
d’anagrafe, 


dall’orlo estremo di qualche età


sepolta. Mostruoso è chi è nato 


dalle viscere di una donna morta. 


E io, feto adulto, mi aggiro 


più moderno d’ogni moderno 


a cercare i fratelli che non sono
più”
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Di Redazione Elzeviro.eu

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