Home / L'Elzeviro / 1963 ? 2013 VAJONT

1963 ? 2013 VAJONT

Condividi quest'articolo su -->

La mattina del 9 ottobre 1963 avevo solo 5 anni, ma mio padre mi aveva già abituato alla sveglia mattutina con il suo transistor.  Ascoltava come sempre la Rai, Radio 1.

Mi ricordo: “è crollata la diga del Vajont!!!”.

Con voce sgomenta ripeteva, ” una tragedia? una tragedia…”.

Dopo tanti anni, 50, oggi sto qui a scrivere del Vajont. Una tragedia che si è preparata in tantissimi anni e che si è consumata nell’arco di 240 secondi.

Tanti ne sono voluti per eliminare la vita dalla Valle del Vajont; circa 2000 persone.

Il progetto viene commissionato dalla SADE all’Ing. Carlo Semenza.

Nel 1957 iniziano i lavori, non senza le polemiche; gli abitanti dei luoghi si lamentano delle espropriazioni, dei terreni sottratti all’agricoltura, alla pastorizia e indennizzati con cifre irrisorie.

Il progetto che doveva essere il fiore all’occhiello e la lettera di presentazione dell?ingegneria italiana all’estero, continua a crescere per concretizzarsi in appena 4 anni.

Il cantiere andava avanti notte e giorno, in parte riciclando il materiale roccioso della montagna per realizzare il calcestruzzo che servì per la realizzazione dell?opera.

Un?opera che, ancor oggi, è imbattuta come criterio costruttivo, una diga a doppio arco, realizzata sul principio dei ponti romani, in conci che si tengono insieme per effetto della pressione di 170 milioni di metri cubi d’acqua, senza necessitare delle armature in acciaio.

La diga alta 260 metri, di fatto realizza il record della diga più alta al mondo e della quota d?invaso più alta otre i 700 s.l.m.

In quell’epoca cominciano a palesarsi le lotte di potere per il controllo dell?energia, la ditta costruttrice, la SADE,  vuole spingere sulla realizzazione dell?opera e sul collaudo perché già si paventa la nazionalizzazione delle imprese produttrici di energia elettrica.

I dubbi in fase di costruzione erano sorti da un pezzo, quando si era deciso di innalzare le quote dell?invaso.

Già da allora il geologo Giorgio Dal Piaz, aveva mostrato delle preoccupazioni che “gli avevano fatto tremare il sangue nelle vene e i polsi”. Queste preoccupazioni erano state sottovalutate, nascoste e taciute.

Alcune piccole frane erano cadute riversandosi nell’invaso ma, essendo esso poco pieno, non era successo nulla di grave.

Quella sera il monte Toc, sfidato dall’uomo e sottovalutato di tecnici, decise di lasciarsi andare all’acqua, ed una frana di milioni di metri cubi si schiantò dentro l?invaso.

L?acqua, il cui posto fu presto preso da terra, alberi, rocce e creature montane, si sollevò con un’onda dalle proporzioni gigantesche, che ribellandosi alla prigionia della diga, volò letteralmente sullo sfioramento e si precipitò nella valle sottostante.

Colpì come un?atomica d?acqua i paesi di Longarone, Erto e Casso; li colpì di notte con un rumore, dicono i sopravvissuti, simile a quello di una colonna di carri armati, con il vento di una tempesta, con la forza di uno tsunami.

Le acque, i detriti, si lasciarono alle spalle quasi 2000 morti, molti mai ritrovati, e un letto di fango.

Anche in questo caso la giustizia fece il suo corso, o meglio, il suo inaccettabilmente lungo corso: ricorsi, appelli, perizie e rimbalzi per scoprire di chi fosse la colpa e chi doveva pagare.

Alla fine nel 2000, pagarono in parti uguali la società ex SADE, lo Stato, l’Enel e la Montedison, firmando l?accordo definitivo per il risarcimento delle vittime e dei danni della frana del Vajont.

Erano trascorsi trentasette anni da quando il monte Toc era precipitato nel lago dell’impianto idroelettrico del Vajont.

Giuseppe Morello

credit foto: SADE-ENEL

Condividi quest'articolo su -->

Di Redazione Elzeviro.eu

--> Redazione

Cerca ancora

Normativa sul Green Pass: quando la certezza del diritto va a farsi benedire

E` caos tamponi e green pass: milioni di cittadini lasciati a sé stessi Da sempre …