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Per il fisco italiano il contribuente non ha diritto a diventare povero

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La civiltà romana, come ben sappiamo, ha contribuito in modo determinante insieme a quella greca al sorgere della civiltà occidentale.

Nel bene e nel male al diritto romano noi siamo debitori per quanto riguarda l’intelaiatura di base su cui il nostro sistema di convivenza civile si è in seguito sviluppato. Ebbene, pur essendo lungi da noi l’idea di vagheggiare un impossibile quanto utopistico ritorno al passato, possiamo dire senza mezzi termini che la qualità del diritto civile e penale romano in certi ambiti era e resta superiore a quella del nostro sistema moderno che per questo ne è, sotto certi aspetti, soltanto il figlioccio se non addirittura il figlio bastardo.

 

Se andiamo a vedere come il diritto latino regolava i rapporti tra debitore e creditore e soprattutto i rapporti tra i cittadini debitori e stato creditore, ci rendiamo conto come, per certi aspetti, lo status di cittadino romano desse sicuramente più vantaggi rispetto a quello attuale di cittadino italiano. Se era pur vero che se il debitore non poteva fare più fronte al suo debito subiva la perdita della libertà finendo in ceppi a disposizione del creditore che poteva per questo disporre come meglio credeva del debitore finito in povertà, va detto che la legislazione romana aveva però trovato un escamotage per rendere il più delle volte questa eventualità puramente ipotetica. Infatti in occasione di eventi storici particolari come cambi di potere al vertice, guerre vittoriose o particolari calamità, le autorità potevano stabilire l’azzeramento del debito ridando in questo modo ossigeno e serenità a quanti si trovavano in condizioni appunto critiche.

 Si trattava di veri e propri colpi di spugna che mettevano fine una volta per tutte non solo a penose situazioni di schiavitù ma anche all’enorme massa di contenzioso che ne poteva derivare, eliminando in un colpo solo una buona parte delle tensioni sociali. Era ovvio che in questi frangenti la stato operava anche per far sì che i creditori potessero trovare beneficio in altri modi in sostituzione della soddisfazione creditoria che avevano diritto di ricevere, ma, ripetiamo, questa valvola in un certo senso di sicurezza, contribuiva a mantenere la coesione e la pace sociale. Quindi il sistema giuridico romano se da un lato usava la mano pesante nei confronti dei debitori insolventi, retaggio questo di vecchie e primitive concezioni sociali, dall’altra parte recepiva pure la necessità di una pacificazione sociale e di un mantenimento di condizioni di equilibrio e di tolleranza nei confronti di una situazione comunque sbilanciata tra i grandi finanziatori e i piccoli debitori costretti a chiedere un prestito per vivere.

 Ebbene se confrontiamo quanto succedeva allora con il nostro sistema legislativo fiscale, scopriamo che con molta probabilità i cittadini di Roma stavano meglio di noi. Se partiamo infatti dal presupposto che il diritto deve essere in qualche modo elastico e flessibile proprio perché deve tenere conto di situazioni di squilibrio che possono diventare la causa anche di sconvolgimenti sociali drammatici, il cittadino italiano è molto meno tutelato di quello romano. Infatti, a differenza del diritto romano, il nostro sistema legislativo non prevede moratorie collettive, non prevede l’esistenza di particolari situazioni storiche, come quella che stiamo vivendo adesso, che dovrebbero consigliare un accantonamento del debito maturato, soprattutto di quello fiscale, rendendo meno drammatica l’esistenza di milioni di individui almeno finché dura questa situazione.

 Da noi, incredibilmente, non è prevista l’ipotesi che il contribuente possa diventare povero e quindi non sia più nelle condizioni appunto di contribuire come faceva prima. Questa ipotesi per la nostra legislazione non è prevista perché probabilmente non è considerata, sic, possibile! Se finora hai pagato le tasse, devi continuare a pagarle anche se non hai più nemmeno il becco di un quattrino. Questo è il nostro atroce, ma anche stupido sistema fiscale.

 Se non paghi più le tasse, al fisco non interessa se tu non ce la fai, per questo, neppure a sfamarti e devi andare nelle mense della Caritas e poi a dormire in macchina. A lor signori non interessa ma ti mandano il decreto ingiuntivo e poi le ganasce fiscali sull’unico bene che ti è rimasto, ovvero quella macchina trasformata nel tuo personalissimo letto a due piazze. Provvedimento retaggio appunto dei ceppi di cui sopra, e in linea con un sistema assolutamente feudale e primitivo. Un provvedimento pure di una stupidità incredibile perché verrebbe da chiedere: ma se a quel povero diavolo bloccate pure l’auto, me lo spiegate come farà a lavorare, perché il più delle volte l’auto è indispensabile, e quindi a saldare il debito con voi? Questa è l’incredibile stupidità e ottusità del nostro sistema fiscale, un sistema cieco che ha lasciato per decenni colpevolmente impuniti i grandi evasori accanendosi con una ferocia che non ha eguali sui poveracci, colpevoli solo di essere andati in miseria a causa di una crisi globale sorta negli ambienti della finanza americana.

 In questi casi, lo stato dovrebbe ricordarsi di essere non solo autorità ma anche aiuto di chi senza sue colpe si ritrova con l’acqua alla gola. Se uno ha un debito con il fisco e si ritrova in condizioni di documentata indigenza dovrebbe avere il diritto sacrosanto di ottenere almeno un congelamento temporaneo del debito, e degli interessi che da questo ne conseguono, fino a quando lo stesso contribuente non tornerà in grado di camminare con le sue gambe. Inoltre lo stesso dovrebbe essere dispensato, sempre fino a quando continuerà ad essere indigente, dal pagare nuove tasse, nuove tasse che non potrebbe comunque in alcun modo pagare. Lo stato dovrebbe trasformarsi da robottizzato, ma anche lobotomizzato riscossore, a intelligente analizzatore delle condizioni di chi non può più essere chiamato contribuente. E’ forse troppo chiedere questo?

 Il sistema giuridico romano, pur non andando ad analizzare i casi singoli, per risolvere la questione, quando questa rivestiva i caratteri di pericolo per la convivenza civile, come abbiamo visto, stabiliva appunto la possibilità del colpo di spugna pubblico e generale. Questo perché i legislatori di allora, a differenza di quelli di adesso, sapevano quanto sia superiore il bene della convivenza civile e della pace sociale rispetto a quello, certamente tutelabile ma, in certi casi come quello che stiamo vivendo ora, sacrificabile in quanto foriero di possibili e drammatici eventi rivoluzionari, questi sì da evitare a tutti i costi se si vuole perpetrare la civiltà esistente e se si vuole tutelare il bene comune pubblico.

di Roberto Crudelini

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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