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Il pallone ostaggio del Dio Denaro

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Domenica si è giocata la partita Napoli-Verona decisiva per la partecipazione alla Champions non solo della squadra partenopea ma anche, per uno straordinario intreccio di combinazioni, del Milan e persino della Juventus che dopo nove scudetti a fila rischiava addirittura di non entrare nelle prime quattro squadre del Campionato italiano.

di Massimo Fini

A dimostrazione che essere stato un grande giocatore, come Pirlo, non è una garanzia per essere un buon allenatore, del resto c’è il disastroso precedente di Van Basten e dubbi ci sono anche su Zidane molto contestato a Madrid.

Nella partita al Diego Maradona, bloccata sullo 0 a 0, il calciatore partenopeo Rrahmani, cosovaro, segna un gol importantissimo perché significa per il Napoli la partecipazione matematica alla Champions. Ma non esulta. Nel Verona ha giocato, molti dei calciatori veneti sono suoi amici, della città conserva un buon ricordo. Nel talk post-partita di Sky l’ineffabile Fabio Caressa commenta: “È intollerabile, inaccettabile. Il giocatore è pagato dal Napoli, un comportamento del genere è inammissibile”.

Una squadra di calcio compra le qualità tecniche, tattiche, fisiche di un giocatore, non compra, né può, i suoi sentimenti, non compra le sue passioni, non compra la sua anima (“Ni se compra ni se vende el cariño verdadero” dice una canzone spagnola).

Del resto l’esultanza o meno esce dal perimetro del campo di calcio ed entra in quello dei diritti costituzionalmente garantiti, cioè nella libertà di esprimere il proprio pensiero, la propria sensibilità, la propria personalità (art. 21). Il giocatore deve rendere per quanto è pagato. Il resto sono fatti suoi. Rrahmani ha segnato il gol? Si. E questo deve bastare.

Peraltro di moralisti viscidi alla Fabio Caressa

(che più che di calcio si intende di regole del Var) il mondo del pallone è zeppo. Fabio Quagliarella, cresciuto nel vivaio granata, è un vero “cuore Toro”, ha portato la Primavera a due finali, poi ha giocato un paio d’anni in A. Ma era troppo forte e il Torino, squadra outsider per eccellenza che allora non aveva il becco di un quattrino, dovette cederlo.

Girò varie squadre fra cui la Juventus e il Napoli di cui è originario (è nato a Castellamare di Stabia). Poi in finale di carriera torna alla “casa madre”, il Torino. Proprio il primo anno in un Toro-Napoli ai granata viene assegnato un rigore. Tira ovviamente Quagliarella che dal dischetto è infallibile. Segna. Ma non esulta. Il Napoli è stata una delle sue squadre e poi lui di Napoli è. Apriti cielo.

Gli scagliarono contro i tifosi (che pur di passioni dovrebbero saperne qualcosa), l’allenatore, la Società e il Presidente, quell’Urbano Cairo che vorrebbe fare il Berlusconi ma lui, che i quattrini li ha ma paga i collaboratori del Corriere 20 euro a pezzo, i migliori giocatori li vende: l’Inter gioca con i due terzini del Torino, D’Ambrosio e Darmian, Benassi, ex capitano dell’‘under 21’, l’ha dato alla Fiorentina, Immobile alla Lazio, se poi si tratta di giocatori di classe proprio non li tollera, Ljajić lo ha ceduto al Beşiktaş, di Iago Falque si è persa traccia, eppure erano i due soli a poter dialogare tecnicamente con Belotti che oggi è costretto a farsi tutto il campo per ricevere un pallone.

Risultato dell’“operazione Quagliarella”

che Caressa avrebbe volentieri deferito a qualche tribunale sportivo: Quaglia è passato alla Samp dove in una squadra modesta continua a segnare a grappoli, anche quest’anno è in “doppia cifra”, 13 gol, 2 soli su rigore, e peraltro a 38 anni, con 205 gol, è il più prolifico attaccante italiano in attività. Pur con caratteristiche fisiche diverse, meno robusto, è il nostro Robert Lewandoski. Una bella lezione per Caressa e tutti i Caressa che riconoscono solo la legge del denaro e si impipano dei sentimenti.

Nel bacchettonismo italiano è diventato normale che le società di calcio controllino la vita privata dei giocatori. E anche questa è una violazione, oltre che della privacy, della libertà personale. Se uno gioca male lo mandi in panca, in tribuna, lo escludi dalla rosa. Cosa fa fuori dal campo sono fatti suoi. Idem se gioca bene. Con questa mentalità da preti non ci sarebbe mai stato Maradona.

Per contratto gli allenatori e i giocatori devono prestarsi alle interviste di Sky

nel dopopartita. Ne esce una melassa indigeribile. Uno ha segnato cinque gol? “È merito del gruppo”. La squadra ha preso cinque gol? “I ragazzi sono stati bravissimi, questa sconfitta sta nel nostro progetto di crescita” e altre banalità del genere (da qualche tempo nel mondo del pallone c’è un ossessivo parlar di “progetto”, ora secondo me il termine “progetto” si adatta più a un’azienda che a una squadra di calcio).

Peraltro un allenatore non può dire che Caio ha giocato bene altrimenti il giorno dopo i media sportivi, che riescono a essere anche peggiori di quelli, diciamo così, normali, titolano che tutti gli altri hanno giocato male. È tutto un complimentarsi a vicenda. E a Sky Caressa si è anche lamentato che un giocatore, come domenica Cristiano Ronaldo, rilasci interviste a un altro network.

Oltre che il monopolio del gioco vorrebbero avere anche quello delle opinioni. Però proprio domenica Jurić e Mihajlović hanno rotto quest’ammoina insopportabile. Jurić ha letteralmente mandato affanculo il suo intervistatore e Mihajlović ha detto che la sua squadra, il Bologna, era fatta di brocchi ed era già tanto che si fosse salvata. Ci volevano due balcanici per uscire dai soliti schemi.

Ma il problema di fondo è un altro e riguarda le “pay-per-view”

Il calcio è un grande sport nazionalpopolare come il ciclismo. È giusto, è equo, è sociale che le partite in tv le possano vedere solo quelli che hanno il denaro per pagarsele? Il ciclismo lo dà la Rai e lo possono vedere tutti, ma è uno sport povero che dal punto di vista economico interessa poco.

Il calcio televisivo muove miliardi di euro e proprio questa sua abnorme enfiagione è all’origine del suo collasso prossimo venturo. Ma i Caressa e tutti i Caressa del mondo del pallone, e non solo, questo collasso che li travolgerà non lo vedono o non lo vogliono vedere.

Deus dementat quos vult perdere. Io ho scritto Denaro. Sterco del demonio, Papa Francesco, che ha un po’ più autorità di me, ha detto che oggi esistono solo due Iddii: il Dio del sacro, che è in caduta verticale, e, sono parole sue, “il Dio Denaro”.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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