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La provincialità non formato Champions

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Il calcio italiano non è più all’altezza dei grandi salotti europei, ormai pare un dato di fatto inequivocabile e condiviso dai più.

L’ennesimo tracollo, avvenuto nella serata di ieri, ha visto protagonista una scialba e a tratti fuori condizione Udinese contro uno Sporting Braga brillante e cinico. La disfatta è stata suggellata da un calcio di rigore a “cucchiaio” di Maicosuel (Udinese), parato dal portiere portoghese, rimasto immobile al centro della porta.

Le impressioni del post partita sono state le solite: chi parla di sfortuna, chi, come abbiamo detto prima, di un declino di tutto il calcio italiano e chi come il tecnico Guidolin, quasi in lacrime, effettua una tremenda e ingiustificata autocritica.

Le ragioni di tale, lasciatecelo dire preannunciata debacle, non sono da far risalire al campo di gioco, alla tattica o alla preparazione adottata dal tecnico; esse sono figlie di una becera mentalità che attanaglia le squadre per così dire di livello medio basso, le cosiddette provinciali.

Per due anni di fila Udine ha avuto l’occasione d’oro di entrare tra le grandi d’Europa dopo aver disputato stagioni esaltanti e aver coltivato campioni, ma in entrambe le situazioni il vivaio è stato smantellato, quasi a voler rinunciare a priori ad un traguardo, che ricordiamo strappato con le unghie e con i denti a squadre altrettanto forti e agguerrite.

Sanchez e Inler prima, Isla e Asamoah  poi, questi alcuni dei campioni friulani che hanno rimpinguato le tasche del presidente Pozzo, ma che hanno indebolito a dismisura la sua squadra. La parola vincere non rientra nel vocabolario del patron dei bianconeri del nord est, preferisce partecipare, anzi guadagnare facendo “marameo” ai giocatori, al tecnico, ai tifosi, che tuttavia non trasmettono alcuna minima pressione nei confronti della squadra, ma soprattutto al calcio italiano intero, che assiste inerme all’ennesima figuraccia.

 

 

Il tragicismo però è proprio di chi vuole ammantarsi di giustificazioni per evitare un’analisi approfondita e un’eventuale proposta di miglioramento.

Il calcio italiano, visto dal suo interno, rimane di altissimo livello sia dal punto di vista della preparazione, sia da quello tattico, che da quello dei vivai; ciò che rovina la nostra reputazione d’oltralpe è quella “paura” di vincere, il timore di mettere su un tavolino un progetto ambizioso per il futuro.

Esempi ce ne sono da vendere, basti pensare ad una squadra londinese che vent’anni fa era relegata ai margini e nel maggio scorso è diventata la regina d’Europa.

La mentalità, tuttavia, soprattutto quella italiana è restia al cambiamento; forse è ora di mettere dei paletti. Perché la Figc non impone alle squadre qualificate in Europa un limite alle svendite? Sarebbe una doverosa assicurazione contro cucchiai mal riusciti.

 

di Gabriele Tebaldi

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Di Redazione Elzeviro.eu

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