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Conte non ci sta più e attacca il sistema calcio

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Conte non ci sta più a ingoiare amaro e a subire il diktat del sistema calcio Italia: dopo l’opaca prestazione contro la Croazia e la partita giocata ad…onor di firma dagli azzurri contro l’Albania, è esploso nella sala stampa dello stadio di Marassi come solo lui sa fare e non ha risparmiato nessuno. Forse ci voleva uno come lui per mettere una volta per tutte la piaga allo scoperto. Una piaga che stava rischiando di mandare in cancrena il nostro calcio ormai da tempo vittima della grave infezione che lo sta trascinando verso la sua prematura morte annunciata.

 

Lo stesso Conte, dall’alto della sua onestà intellettuale, ha anche ammesso i suoi errori del passato quando anche lui come gli altri allenatori di serie A, era vittima di una visione particolaristica ed egoistica del proprio orticello a discapito degli interessi della Nazionale. Ora, ammette, la prospettiva è diversa e si è reso conto di essere da solo a combattere contro un insieme di interessi incompatibili con quello che fa. Conte ha impietosamente messo il dito nella ferita di un calcio italiano in piena crisi dove la voglia di ripartire per riacquistare quella credibilità perduta non è reale ma solo fintamente e ipocritamente promessa sulla carta.

 

Il Ct della Nazionale ha anche detto in tutta sincerità di essere venuto con tanta voglia di lavorare, un lavoro che lui sa fare molto bene e con grande professionalità, ma, che deve anche essere messo nelle condizioni di farlo. E qui è arrivata la frase bomba destinata ad aprire salutari processi ma anche possibili terremoti nell’ambito della stessa Federazione: “Se mi sopportate così bene, altrimenti diventa un problema serio“. Lo sfogo di Marassi era stato preceduto dalle giuste lamentazioni successive allo squallido pareggio sudatissimo del Meazza contro una Croazia dimostratasi nettamente superiore. Conte all’indomani aveva detto molto chiaramente che nei giocatori non vedeva quella voglia di faticare che dovrebbe essere la prerogativa di chi riceve il dono, l’onore e l’opportunità di vestire la maglia azzurra.

 

Sul caso Balotelli ha poi detto che in molti hanno cercato prima di lui di cambiarlo e, altrettanto chiaramente, che lui non ha il tempo di farlo, il che, tradotto in poche parole, significa: chi c’è c’è e chi non c’è…affari suoi. Le dure parole di Conte sono destinate a sollevare un salutare polverone nel calcio che conta: uno sfogo che, presumiamo, ha lo scopo di smuovere una volta per tutte le acque dando una sferzata all’intero sistema, costringendo anche ad uscire allo scoperto chi questo stesso sistema lo sta stritolando dopo averlo utilizzato come un suo docile strumento.

 

I mali che affliggono il nostro calcio li conosciamo e sono impietosamente davanti a tutti. In primo luogo il predominio assoluto dei grandi club del nord che da sempre cercano di condizionare le scelte del calcio portando acqua al mulino dei loro pur giusti e sacrosanti interessi. In secondo luogo l’enorme fucina sempre di interessi che sono stati creati rispetto al calcio più genuino che si era giocato fino ai primi anni novanta, e che ha portato a decisioni che non hanno più nulla a che fare con il sacrosanto diritto collettivo di godere di uno spettacolo per tutti, ma soprattutto che hanno portato a far prevalere gli interessi biechi di bottega su quelli del calcio a livello nazionale.

 

Come conseguenza di questo enorme business artificioso è venuta la  scellerata decisione di portare il numero di squadre del campionato di serie A prima a diciotto e poi a venti. Una decisione non suffragata da precise necessità tecniche e che non ha mai tenuto nel giusto conto le necessità atletiche e fisiologiche dei giocatori spremuti al di là di ogni ragionevole e suffragata necessità, ma con l’unico scopo di aumentare solo e soltanto gli introiti derivanti dall’enorme carrozzone mediatico artificiale che si è creato attorno. Una mano a questo scempio l’ha data anche l’Uefa trasformando e quindi…deteriorando quelli che erano i sacrosanti paletti e strutture su cui si era retto in modo superbo il calcio fino all’alba del secondo millennio. La decisione di trasformare la Coppa Campioni originaria in una specie di artificioso campionato europeo di alto vertice non ha portato altro che al massacro fisico dei giocatori e alla rivoluzione dei sistemi di allenamento fino a quel momento in vigore.

 

Decisione irresponsabile che ha contribuito in modo decisivo al peggioramento delle condizioni atletiche degli stessi giocatori costretti ad un massacrante tour de force in nome degli interessi esorbitanti che si sono creati per aumentare i guadagni delle stesse società e dei mass media che ci ruotano intorno. Ricordiamo che, fino agli anni novanta, competizioni a dimensione umana ma tecnicamente in grado di esprimere un calcio di alto livello, come la Coppa Uefa e la Coppa delle Coppe, hanno permesso a molte squadre, anche italiane, di affermarsi nel Continente, mentre ora la loro assai indegna sostituta, l’Europa League, è diventata per gran parte del suo svolgersi, fino almeno ai quarti, un’inutile parata di incontri senza né arte né parte che hanno l’impietosa caratteristica di essere soltanto grandi e inutili perdite di tempo e di energie.

 

Ha ragione Conte quando sostiene che non si può continuare in queste condizioni avendo a disposizione i giocatori solo per una misera manciata di giorni all’anno: cosa si possa costruire in un simile pietoso contesto è facile e intuitivo. La proposta di tornare ad un campionato a sedici squadre l’avevamo d’altronde già lanciata all’indomani della debacle azzurra ai mondiali del Brasile, con i nostri giocatori arrivati all’appuntamento decotti come una tisana di erbe rilassanti. Ovviamente in questo contesto, ripetiamo, dovranno pure essere rivisti gli errati metodi di allenamento che in questi anni, come unico risultato, hanno solo portato all’intasamento delle infermerie societarie con una pletora infinita di giocatori stirati, rotti e malconci. Metodi che hanno dovuto per carità tenere a tutti i costi il passo di un campionato “selvaggio”, giocato a ritmi e scadenze sovrumani e insostenibili.

 

Il risultato di tutto questo scempio è sotto gli occhi di tutti: le nostre squadre di club stanno navigando da anni nelle zone più basse della classifica  continentale mentre la Nazionale è scesa nel ranking a livelli di semplice rincalzo. Il resto è fatto di sospiri e alti guai per l’aere tenebroso delle infermerie sociali con il meglio del calcio spesso costretto a lunghe e stressanti pause riabilitative. E intanto Conte giustamente urla di rabbia e cerca di ribellarsi al “mostro” che qualcuno ha creato in questi ultimi terribili vent’anni. La speranza è che questo grido di ribellione non resti un lugubre e isolato rantolo nel deserto infuocato della nostra ignavia: i tempi sembrano maturi per un, a questo punto salutare, ritorno al…passato.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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