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Fallimento Italia: mancanza di talenti o idea di calcio superata?

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di Matteo Gabiano
 

A 4 giorni dall’eliminazione degli azzurri dal mondiale in Brasile proviamo ad analizzare un po’ più a freddo i motivi che hanno portato la nostra nazionale a non passare, per la seconda volta consecutiva, la fase a gironi della più importante competizione calcistica.

In seguito alla sconfitta contro Cavani e compagni, si è ampiamente parlato dell’atteggiamento di Balotelli, della presunta rissa avvenuta durante l’intervallo della partita contro l’Uruguay tra lo stesso attaccante e De Rossi e Bonucci, della mancanza di talenti, delle polemiche di Buffon, dell’ eccessiva “vecchiaia” di alcuni giocatori e del fallimento del progetto di Cesare Prandelli. Tutti argomenti che hanno la loro più che legittima ragione d’esistere, ma che tolgono incomprensibilmente spazio alla tematica legata alle evidenti difficoltà fisiche emerse nell’ arco del nostro mondiale.

Prandelli e lo staff tecnico, che erano a conoscenza delle avverse condizioni climatiche che avrebbero incontrato in Brasile, hanno studiato una preparazione atletica incentrata sulla resistenza e sulla capacità di fronteggiare il grande caldo sudamericano mediante lo svolgimento di allenamenti all’ una del pomeriggio, la continua somministrazione di test atletici e, addirittura, l’utilizzo di una sauna allestita in quel di Coverciano.

Nella prima partita contro l’Inghilterra, giocata alle ore 19 locali, la condizione atletica è sembrata buona (se non altro migliore rispetto a quella degli inglesi in preda ai crampi per tutto il secondo tempo) e gli azzurri hanno strappato una vittoria meritata. Sei giorni dopo, la partita di Recife contro il Costa Rica, giocata all’ ora di pranzo, ha messo in evidenza tutti i limiti della nostra nazionale: l’Italia, di fronte ad una squadra che correva su ogni pallone, ma palesemente inferiore dal punto di vista tecnico-tattico, è sembrata non avere gamba e alcuni giocatori sono apparsi stanchi dopo soli dieci minuti di gioco. Un dato inquietante che ci porta a dubitare dell’utilità di alcune misure adottate da Prandelli durante il ritiro di Coverciano (prima fra tutte la sauna) e a come sia possibile che, dopo aver parlato per mesi di test atletici atti ad abituare i giocatori al caldo, siano poi bastati pochi minuti per vederne alcuni in palese affanno.

Il clima e l’umidità, però, non possono in alcun modo giustificare l’umiliazione ricevuta da una squadra, il Costa Rica, la cui grande maggioranza dei giocatori milita nel campionato della nazione stessa. E’ inopinabile che le squadre del Centro e del Sudamerica siano più abituate a giocare sotto il sole cocente, ma ciò che stranamente continua a passare in secondo piano (e non solo alla luce di queste ultime tre partite) è la nostra ostinazione ad esprimere un’ idea di calcio ormai superata da anni. I nostri giocatori sono sembrati andare ai ritmi del mondiale ’82, quando, nella finale di Madrid contro la Germania, Scirea e Conti si passavano continuamente (e senza il men che minimo accenno di pressing) il pallone nell’ area avversaria, in attesa di servire a Tardelli il pallone che quest’ultimo avrebbe poi magicamente spedito in rete.

Nel calcio odierno, lo insegna il Bayern Monaco campione d’ Europa nel 2013, gli esterni devono rappresentare una spina nel fianco continua, devono avere corsa e dribbling, gli attaccanti sono, invece, chiamati a pressare (vero, Balotelli?) e a dare una mano ai centrocampisti, i quali, a loro volta, oltre a crear gioco, hanno il compito di mettere intensità e dinamismo nella manovra e di occuparsi della fase d’interdizione con senso tattico, gamba e agonismo. Ai difensori, infine, ruolo con sempre meno talenti, è richiesto l’arduo compito di adattarsi alla velocità e la fisicità del calcio moderno. Tutti aspetti che l’Italia di Prandelli e, più in generale, i club italiani, non hanno e di cui la critica continua a sottovalutare l’importanza.

Non si può ovviamente fare dell’eliminazione prematura dell’ Italia un discorso meramente legato alla condizione atletica. E’ evidente che il problema sia consistito in una lunga serie di variabili che spaziano dagli attriti all’interno dello spogliatoio e i continui stravolgimenti tattici di Prandelli ad un tasso tecnico generale che non può essere paragonato all’Italia campione del mondo nel 2006. Un fallimento così clamoroso del nostro calcio, tuttavia, potrebbe fondare le sue più profonde radici proprio nella mediocrità generale del nostro campionato, un torneo che non consente alle società, ma soprattutto ai singoli giocatori, di adattarsi ai ritmi e alle peculiarità del calcio mondiale e di essere, in ultima analisi, pienamente valorizzati. Tale problema, che è specchio della crisi economica del nostro paese, ha portato le nostre compagini più prestigiose a non avere pazienza e a preferire giocatori stranieri neanche troppo talentuosi (ma con un importante bagaglio di esperienza alle spalle) alle giovani promesse italiane.

Prandelli e la Figc, dopo i disastrosi mondiali del 2010, avevano già intuito la necessità di muoversi in questa direzione, ma non sono riusciti ad analizzare la questione tenendo conto di tutte le variabili in gioco. Il problema della nazionale, infatti, al di là delle vicissitudini di spogliatoio e il caso Balotelli, non risiede nè nella carenza di giovani (l’età media della nazionale del 2006 e del 2010 era ben più alta), nè nel valore tecnico generale (che non sarà stato eccelso, ma sicuramente superiore a quello di Costa Rica e Uruguay e di molte altre squadre passate agli ottavi di finale), quanto in un’ eccessiva immaturità e inadeguatezza fisica e mentale dovuta ad un campionato, quello italiano, di basso livello.

E’ necessario, dunque, attuare una rivoluzione sportiva che miri, a partire dal settore giovanile, a rivalorizzare gradualmente l’aspetto atletico, oltre a quello tecnico-tattico. Ulteriori pratiche di intervento possono essere attuate mediante la riduzione del numero di squadre partecipanti alla Serie A, attraverso l’imposizione di un incrementato tetto minimo di giocatori italiani in rosa e, prendendo spunto dalla Spagna, con l’inserimento di seconde squadre nelle categorie cadette, in modo da far giocare i giocatori in esubero.
Tutti possibili spunti che devono avere l’intento di restuire al calcio italiano il prestigio di cui godeva un tempo. Non possiamo più avere la presunzione di pensare di essere i maestri della tattica e di essere coloro che nelle situazioni difficili se la cavano con l’esperienza. Ci sono momenti in cui non si può fare altro che incassare la sconfitta, fare un bagno di umiltà e, con molta pazienza, provare a rialzarsi.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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