L’Italia deve introdurre leggi che pongano limiti più stringenti per la partecipazione dei magistrati alla politica, e mettere fine alla possibilità per i giudici di mantenere il loro incarico se vengono eletti o nominati per posizioni negli enti locali.
Raccomandazione del Consiglio d’Europa.
“È chiaro che la legislazione italiana contiene diverse lacune e contraddizioni a tale riguardo, che sollevano dubbi dal punto di vista della separazione dei poteri e della necessaria indipendenza e imparzialità dei giudici”.
Ci voleva il CdE? Qualcuno ancora crede all’indipendenza della magistratura in Italia? Come si fa a supporre che, senza una netta separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, vi possa essere una decisa indipendenza? Al momento la situazione è, parola simile ma opposta, di interdipendenza, e fra magistrati esercitanti differenti funzioni, e pure tra magistrati e politica.
Così dimostrano le vicende politiche degli ultimi anni: i rapporti amicali tra alte cariche dello Stato con la magistratura, il fatto che uno dei supremi capi della magistratura (il vice presidente del Consiglio superiore) sia un politico. Il sindaco di Napoli è un ex magistrato mediatico, De Magistris, che nel suo primo lavoro non cavava un ragno da un buco, mentre ora, beh, stendiamo un velo pietoso.
Un altro grande magistrato mediatico è stato Ingroia, ora occupato in Regione Sicilia, che con la sua lista profetizzava l’espropriazione per i sospettati d’evasione fiscale. Robe che nemmeno in Cina… Per non parlare della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Piero Grasso. Un ex magistrato. Evidentemente la legge, come suggerisce il Consiglio d’Europa, è da novellare. In toto.