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Cerco il lavoro ma spero di non trovarlo

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Non importa che coalizione sia al Governo; che si chiami Letta o Berlusconi o ancora Prodi e D’ Alema, il grido disperato che si leva da ogni dove è ” E’ necessario creare nuovi posti di lavoro”.

Sono stata una precaria anche io, per diversi anni ed in diverse aziende. Dopo i primi mesi di sconforto, ho capito che dovevo fare di necessità virtù e volgere a mio favore la situazione. Se precario significa “contratto a progetto” e se “contratto a progetto” significa che il lavoratore svolgerà la propria attività in maniera del tutto autonoma, al di fuori di ogni vincolo predeterminato di orario e di presenza; il datore di lavoro committente non eserciterà nei confronti del lavoratore alcun potere gerarchico e disciplinare tipico del rapporto di lavoro subordinato; il lavoratore presterà la propria attività in modo del tutto autonomo fornendo la propria professionalità…..allora vuol dire che sono libera di entrare ed uscire senza dover dare spiegazioni, di assentarmi senza dovermi giustificare, avvertire della mia assenza con una semplice telefonata. E così è stato. Ho vissuto quegli anni adattando il mio lavoro alla mia vita e non il contrario. I miei datori di lavoro, masticando male, lo hanno accettato.

Durante un’udienza di lavoro, un Giudice mi diede ragione e, rivolgendosi alla mia ex-datrice di lavoro disse ” Se vogliamo mettere le catene a questi lavoratori, facciamogli dei contratti decenti”.

Per anni ho accettato di fare qualsiasi cosa – purché fosse lecita, si intende. La hostess nelle fiere, la mascherina a teatro, la project leader di congressi medici, l’assistente di direzione. Non mi sono mai tirata indietro, non ho mai fatto storie sugli orari faticosi, sulle trasferte lunghe e noiose, sui compensi che a volte erano micragnosi.

Poi la “pacchia” è finita e sono stata assunta nell’azienda di famiglia con un regolare contratto a tempo indeterminato. E non è perchè lavori in famiglia che possa fare come mi pare, sia chiaro. Timbro un cartellino, come tutti e prendo cazziatoni come tutti.

E così, dopo qualche tempo, mi sono accorta di essere dall’altra parte della barricata, dalla parte giusta del mondo del lavoro, quella parte che il lavoro ce l’ha ed è più o meno sicuro.

Così comincio a leggere le disperate testimonianze di chi un lavoro lo cerca, lo ha perso, non lo trova. Un milione di giovani italiani ha rinunciato a cercarlo. Un’affermazione che mi colpisce. Come si fa a rinunciare a cercare lavoro? Forse un milione di giovani connazionali ha rinunciato a cercare IL lavoro. Perché nel nostro paese IL lavoro è avere una bella stanza, con una bella scrivania, un PC di ultima generazione, magari anche una segretaria personale che ci porti il caffè e ci ritiri il soprabito in tintoria.

Tutto questo ben remunerato e con meno responsabilità possibili. Perché le responsabilità e i doveri pesano e la sera non ci va di stare in ufficio sino alle undici così poi ci salta la partita di calcetto e l’aperitivo con l’amica.

E tutti quei lavori che nessuno vuole fare più? Il sarto, l’infermiere, il falegname, l’idraulico, la colf, la badante? Eserciti di rumeni, moldavi, albanesi che, con una laurea in fisica presa nel loro paese, sgobbano per dodici ore al giorno e mettono da parte i soldi da inviare a casa.

Ho cercato un dog-sitter per i fine settimana. Pago bene e pretendo poco, sono una pessima cliente, mi dicono le amiche. Non ne ho trovato uno che accettasse non dico con entusiasmo ma che almeno accettasse.

“Il sabato e la domenica non mi conviene venire a Roma….sa Signora, io abito fuori” oppure ” Eh ma no, il week-end io mi vedo con il fidanzato”.

Sono arrivata alla conclusione che un Governo qualsiasi, destra, sinistra, centro, non debba creare nuovi posti di lavoro ma infondere voglia di lavorare nei giovani italiani.

E che molti miei coetanei cercano il lavoro e sperano di non trovarlo!

Ilaria Riggio Lopane

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Di Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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