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I Faraoni pagavano la bolletta della luce?!

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Sembrerebbe di sì, almeno guardando i bassorilievi contenuti all’interno del tempio dedicato alla Dea Hathor a Dendera. Queste incredibili rappresentazioni, che sembrano confermare in modo impressionante e sbalorditivo la possibilità che gli antichi Egizi conoscessero e anche bene il modo di sfruttare l’energia elettrica, furono scoperte nel XIX secolo da Auguste Mariette.

Questo egittologo francese sarebbe diventato il fondatore-direttore del famoso Museo Egizio del Cairo. Quello che molti non sanno è che lo stesso Mariette, il 18 gennaio del 1881, scrisse nel suo diario personale che le immagini relative ai bassorilievi, da lui scoperti anni prima, gli ricordavano qualcosa di familiare e cioè una lampadina. Lo stesso Mariette era quindi consapevole di aver forse fatto una scoperta sensazionale? Di sicuro se veramente le immagini di Dendera confermassero la conoscenza della corrente elettrica da parte dei Faraoni, la storia umana, almeno come la conosciamo fino a questo momento, sarebbe inevitabilmente sconvolta e rivoluzionata. Forse potremmo addirittura essere venuti a conoscenza di una fonte di energia ancora più potente di quella che conosciamo attualmente, tanto potente da destabilizzare lo stesso  mondo scientifico.

Se comunque andiamo ad analizzare i famosi e misteriosi bassorilievi, scopriremo come il richiamo all’energia elettrica e al suo possibile utilizzo non sia per niente frutto della fantasia sviluppata di qualche ricercatore-millantatore a caccia di scoop giornalistici. Sono infatti troppe le coincidenze esistenti nelle raffigurazioni in esame per escludere un’ipotesi a questo punto sbalorditiva. A Dendera gli Egizi hanno rappresentato dei bulbi  oblunghi trasparenti con all’interno una specie di lungo serpente, con dei cavi che sembrano collegarli con delle strane scatole quadrate. I bulbi poi posano su quello che viene definito ed è noto come il  “Simbolo Zed“. Ora se confrontiamo questa rappresentazione con il “Tubo di Crookes“, la prima lampadina a raggi x della storia realizzata nel XIX secolo, c’è da rimanere letteralmente a bocca aperta per la straordinaria similitudine. Ora qualcuno ha ipotizzato che le misteriose strutture quadrate possano effettivamente ricordare degli accumulatori di energia elettrica a bassa tensione che, tramite i cavi ben visibili, porterebbero corrente al bulbo oblungo con effetti che non conosciamo ma che possiamo immaginare scoprendo qual’è il nome che gli egizi stessi associavano al serpente contenuto all’interno del fantomatico bulbo. Il nome è “Seref” che significa letteralmente “Illuminare“. Ma allora c’è da chiedersi che significato possa avere lo stesso Zed (Djed) su cui sembra poggiare la “lampadina”.

Il simbolo in questione è da sempre associato alla spina dorsale del dio Osiride e simboleggia il concetto di stabilità e quindi di eternità. Interessante è quanto possiamo leggere nel capitolo I del Libro dei Morti Egizio, dove il dio Thoth, il dio della conoscenza dice di sé: “Io sono Djed, figlio di Djed, concepito e nato da Djed“. Non sono pochi gli studiosi che vedono all’interno di queste criptiche parole un preciso significato riconducibile al concetto stesso di “energia”. Tornando alle immagini misteriose di Dendera, più di uno studioso ha ipotizzato che lo Zed, così com’è posizionato e rappresentato, potrebbe ricordare un trasformatore elettrico, di cui le quattro strutture orizzontali non sarebbero altro che i relativi  avvolgimenti, mentre il pilastro su cui posano le stesse potrebbe a questo punto rappresentare il nucleo del trasformatore. L’intera rappresentazione di Dendera con le varie “lampade” che vi sono incise potrebbe quindi essere la raffigurazione di un complesso procedimento di trasformazione dell’energia elettrica in luce per illuminare. Addirittura, esaminando attentamente le immagini, sotto una delle lampade sono raffigurati due uomini inginocchiati uno di fronte all’altro e con le braccia che si toccano: immagine che sembra al sottoscritto ricordare il concetto dei due poli opposti, negativo e positivo, essenziali per il  passaggio della corrente elettrica.

Il mistero delle “lampade ” di Dendera è a tutt’oggi irrisolto ma potrebbe gettare, in tutti i sensi, una…luce nel mistero delle antiche iscrizioni egizie eseguite migliaia di anni fa a  decine di metri di profondità. Iscrizioni che non avrebbero potuto essere eseguite senza l’ausilio di una fonte luminosa. L’ipotesi che si fossero serviti di semplici torce non regge perché simili torce avrebbero finito con il consumare in brevissimo tempo la poca aria disponibile. Gli scienziati del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo sulle Affermazioni sul Paranormale) hanno proposto l’ipotesi, per la verità abbastanza complessa e inverosimile, dell’utilizzo in alternativa di un sistema di specchi di rame (il vetro non era ancora conosciuto) posizionati in modo da incanalare la luce solare dall’esterno.

L’utilizzo di una fonte di energia paragonabile a quella elettrica con il conseguente utilizzo anche di una sorta di raggi x potrebbe risolvere questo rebus ancora irrisolto, oltre a dare una spiegazione all’incredibile precisione con cui gli stessi Egizi riuscivano a tagliare enormi blocchi di granito, con gli stessi effetti che noi otteniamo usando il raggio laser. Ma si sa, stando alle “certezze” degli studiosi allineati, tutto questo è incredibilmente “irreale” o per lo meno…poco credibile. La storia umana, secondo questi signori, avrebbe avuto uno sviluppo assolutamente lineare e non a cicli che si ripetono, come potrebbero suggerire non solo le antiche scritture ma, come abbiamo visto, anche precisi reperti archeologici. L’ipotesi poi che l’incredibile sviluppo simultaneo della civiltà umana dal nulla o quasi nulla del Neolitico, possa avere avuto un contributo esterno da parte degli stessi “Dei”, tra cui il dio Thoth di cui sopra, sarebbe una “follia” non sostenibile e non plausibile, nonostante che tutte le fonti che sono rimaste a nostra disposizione sembrano in qualche modo suggerirlo. Chi siano poi questi “Dei” non lo sappiamo ma di sicuro, questo possiamo dirlo, fu grazie a loro che l’uomo iniziò ad usare, da un momento all’altro della sua lunga storia, conoscenze che prima non aveva. 

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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