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La fabbrica di zombie creata dallo smart working

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Lo smart working non è più solo un paracadute d’emergenza: al contrario, si sta configurando come la nuova normalità. Un’organizzazione del lavoro che offre senz’altro determinati benefici ma, che d’altra parte, come dimostrato dagli ultimi mesi di lockdown, espone i dipendenti ad inquietanti effetti collaterali. In particolare per ciò che concerne il loro benessere psicologico.

Dall’inizio della pandemia, circa due milioni di persone nel nostro Paese hanno fatto i conti con lo smart working. Le aziende più lungimiranti hanno saputo far di necessità virtù, innescando meccanismi capaci di pianificare non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo.

Un esempio su tutti, è stato quello di trasformare strumenti come Meet e Zoom in parti integranti del proprio modello operativo e non in un mero rimedio temporaneo.

Molti studi hanno dimostrato che la produttività dei dipendenti è aumentata, senza considerare che ai lavoratori è stato risparmiato l’annoso tragitto casa-ufficio. Il lavoro domiciliare infatti, permette di gestire meglio il proprio tempo, lavorando senza vincoli orari e con maggiore possibilità di gestire in modo flessibile gli spazi per la vita privata.

Questo però non risulta essere un vantaggio per tutti.

Bisogna essere capaci di mantenere gli ambiti della giornata da dedicare al lavoro separati da quelli destinati alla sfera privata, evitare continue distrazioni e interruzioni mentre si lavora; e nello stesso tempo evitare di essere assorbiti da preoccupazioni professionali anche nel tempo libero o in cui ci si dovrebbe concentrare sulla famiglia.

Non è facile dividere il tempo e gli spazi quando sullo stesso tavolo pranziamo e mandiamo mail. Ci siamo trovati  inevitabilmente a compiere uno slalom costante tra gli impegni personali e quelli dell’ufficio.

La nostra casa si è fusa con lo spazio professionale, quindi quello che dovrebbe essere percepito come un “posto sicuro”, per molti è stato inquinato da elementi esterni, a volte carichi di preoccupazione. Si tratta di un tipo di stress che ha colpito non poche persone.

I numeri parlano.

Un sondaggio di LinkedIn ha rivelato che il 46% degli italiani conferma di sentirsi più ansiosa e stressata per il proprio lavoro rispetto a prima, manifestando disagio, fatica, stati d’ansia, insonnia e attacchi di panico. Secondo lo stesso sondaggio il 27% degli intervistati ha difficoltà a dormire, il 22% prova una qualche forma di stress, mentre un altro 26% sente di non essere concentrato durante il giorno.

Inoltre, il 48% degli intervistati ha affermato di lavorare di più. Non solo, il 22% dei lavoratori si è sentito spinto a rispondere più rapidamente e a essere disponibile online più a lungo del solito, generando una responsabilità non-stop che comprende anche le sere e i fine settimana.

Tutt’altro che un’esperienza felice di flessibilità e autonomia, ma lo smart working non finirà. La sfida che dobbiamo affrontare ora è quella di ristabilire gli autentici principi di un’organizzazione “smart”: una maggiore flessibilità su come e dove svolgere il proprio lavoro, e una maggiore autonomia e responsabilizzazione dei risultati.

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Di Andreea Sbiera

Studentessa al terzo anno di Innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie presso l'Università di Torino.

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