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Tutte le incongruenze della caccia al podista

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Imprese che esportano 500.000 tamponi nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria? Aziende produttrici di beni non essenziali pienamente attive? Personale medico privo di attrezzature adeguate? No, per l’opinione pubblica l’untore da incriminare a reti unificate è ancora una volta un elemento marginale, senza santi in paradiso: il podista.

 

Che nazione indecifrabile e misteriosa questa Italia. Il paese in cui la parte più cospicua dei suoi abitanti si convertì impudentemente dal fascismo all’antifascismo nello spazio della notte tra il 24 e il 25 Aprile 1945, in queste settimane ha dato prova di essere ancora il campione indiscusso nella disciplina del salto del carro. Tuttavia, al percorso che potremmo definire canonico – ovvero quello di passare dal “è solo un’influenza” o “#Milanononsiferma”, fino al “#iorestoacasa” – si è aggiunto un passaggio ulteriore, sintomatico di un altro lato oscuro dell’anima questo popolo.

La necessità di allontanare quell’onta che li perseguita per aver inizialmente sottovalutato il problema, ha costretto la maggior parte degli italiani a cimentarsi anche nell’individuazione del più classico dei capri espiatori: il runner. Un agnello sacrificale da offrire sull’altare dell’espiazione, al fine di guadagnarsi il perdono e lavare la propria coscienza da un peccato originale di cui (in larga parte) l’uomo comune non è colpevole.

Esperti mitomani e media schizofrenici

Basterebbe infatti, ammettere di essere stati manipolati. In primis da esperti affetti da mitomania ed assetati di popolarità, i quali hanno iniziato a pontificare senza sosta nei salotti televisivi (sminuendo o dispensando ottimismo) ancor prima di possedere un’esaustiva conoscenza scientifica del virus; in secondo luogo, da una categoria mediatica rivelatasi – tanto per cambiare – inadeguata, approssimativa e schizofrenica.

Non ci sarebbe nulla di disdicevole o umiliante. Di fronte ad un argomento ignoto, la decisione di rifugiarsi tanto nell’informazione quanto nella divulgazione fornita dai professionisti competenti, è senza dubbio la più indicata per colmare le lacune ed articolare la propria opinione. A conti fatti, si potrebbe persino affermare che l’attenuante per aver sottovalutato la potenziale portata del Covid-19 e l’espediente utile per mettersi l’anima in pace, siano già serviti sul piatto d’argento.

La redenzione e il capro espiatorio

Eppure, una semplice ammenda stracolma di giustificazioni non risulta sufficiente: forse perché chiuderebbe il bilancio dell’orgoglio in passivo. Diventa pertanto necessario ribaltare la situazione. Individuare un obiettivo di fronte al quale ostentare una presunta aura di superiorità, schernirlo, disprezzarlo, salire sul pulpito per dispensare un’omelia, formulare un j’accuse ed additarlo quale responsabile di tutte le sventure della società. Insomma, diventa necessario ritornare in attivo, sentirsi nuovamente dalla parte dei giusti.

All’italiano comune, ma forse più in generale all’uomo comune (perché come dimostra la corsa ai treni nella stazione parigina, il mondo intero è paese), tutto ciò piace. Cionondimeno, l’aspetto più singolare di questa feroce pulsione da educanda frustrata, è che la necessità di rivalsa morale venga spesso incanalata nei confronti dei proverbiali pesci piccoli; gli agnelli sacrificali per definizione, coloro che hanno uno scarsissimo impatto (se ce l’hanno) sulla difficoltà del momento, ma privi del benché minimo santo in paradiso. Categorie nei cui confronti recriminare è tanto agevole, quanto poco costruttivo.

La caccia al podista

Ebbene la caccia alle streghe di medievale memoria, ai tempi del coronavirus si è trasformata nella caccia al podista (ovviamente traslato in runner, per assecondare l’italica devozione verso gli anglicismi forzati). Il nuovo untore da maledire per aver creato un contagio pestilenziale, azzerato la produzione del paese, innescato una recessione drammatica e – mannaggia – interrotto la nostre più affezionate routine borghesi, come aperitivi, pizze e cinema, è lui: chi svolge un’attività motoria all’aria aperta, in spazi ampi e senza creare i tanto vituperati assembramenti.

Un atteggiamento che oltre al summenzionato bisogno fisiologico del colpevole da spolpare, d’altra parte, evidenzia la totale incapacità dell’opinione pubblica di mettere in discussione i soliti noti: consumismo, capitalismo ed iperproduzione forzata. Insomma, i capisaldi del modello di sviluppo nel quale ognuno di noi è stato forgiato.

Aziende ben poco virtuose

Non si è levato nemmeno un vagito di indignazione nei confronti di tutte quelle medie imprese o multinazionali produttrici di beni non essenziali, rimaste operative fino al decreto di sabato sera (e quindi fino ad oggi). Aziende che nelle prime due settimane di teorica quarantena hanno costretto i propri dipendenti ad evitabili calche tanto sul posto di lavoro (catene di montaggio, uffici ecc.), quanto all’esterno e sui mezzi pubblici. Senza parlare delle scarse misure di sicurezza adottate da colossi come Fca o Amazon, i quali hanno causato scioperi spontanei e mobilitazioni sindacali, prima di giungere alla serrata definitiva.

La mappa della diffusione del contagio (sx), confrontata con quella della concentrazione delle medie imprese sul territorio nazionale (dx)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

D’altro canto, non è stato dato troppo peso nemmeno all’operazione della bresciana Copan Diagnostics, che ha pensato bene di vendere mezzo milione di tamponi (quantità cinque volte superiore al totale dei test effettuati in tutta Italia) agli Stati Uniti. Una notizia non esattamente di poco conto. Soprattutto perchè se si accetta la metafora sullo “stato di guerra”, di cui i nostri governanti amano riempirsi la bocca, allora è obbligatorio fare una considerazione: avete mai visto una nazione in guerra consentire alle proprie industrie belliche di esportare munizioni (i tamponi in questo conflitto lo sono), anziché procedere ad un esproprio e vincolarne la produzione all’esclusivo interesse del paese? Per poi domandarsi subito dopo: quanto gioverebbe al contenimento del contagio una dotazione illimitata di tamponi? Quanto sarebbe utile effettuare test in modo capillare, così da scovare i famosi asintomatici? Come del resto è stato fatto in Cina, Giappone e Corea del Sud.

Forti con i deboli e deboli con i forti

Tutti casi potenzialmente più devastanti nello sviluppo dell’epidemia, rispetto al “runner” solitario. Senza dimenticare l’esposizione a cui vanno incontro gli operatori sanitari, costretti ormai da settimane a combattere in prima linea con equipaggiamenti inadeguati: come mascherine monouso (da cambiare teoricamente dopo ogni paziente) indossate per due giorni di fila a causa della penuria di ricambi. Altro argomento che, stando a quanto si legge, non alimenta altrettanto furore nel quarantenato tipo.

D’altronde, non è che si possa pretendere nulla di diverso da un popolo che, parlando di evasione fiscale (come ricordato dal nostro Gabriele Tebaldi), ha ancora l’ingenuità di concentrarsi sulla mancata fattura dell’idraulico piuttosto che sui trasferimenti delle sedi legali delle multinazionali; oppure sui soli 60 milioni di imposte totali versati in un anno dai giganti del web. Purtroppo, quello che sta venendo a galla nell’emergenza, è un paese di tanti piccoli Don Abbondio imbevuti di individualismo cieco e codardia. Di fronte ad un torto subito, la valvola di sfogo diventa l’arringa contro l’indifeso e mai un gesto di rappresaglia nei confronti  dei prepotenti che – attraverso l’imposizione dei loro dogmi – stanno causando le nostre sofferenze. O prolungando le nostre quarantene.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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